Possiamo prevenire l’Alzheimer?

anziano 2Una delle questioni più frequenti quando si parla di demenza è se sia possibile prevenire il decadimento cognitivo. Esistono forti evidenze scientifiche da cui emerge che l’attività fisica riduce della metà il rischio di avere la demenza: in uno studio del 2005, 1449 persone di età compresa tra i 65-79 anni, sono state seguite per vent’anni. L’attività fisica di svago condotta almeno 2 volte alla settimana nella mezza età, riduce della metà il rischio per la demenza in genere e di meno della metà per malattia di Alzheimer. Chi cammina 30 minuti o più al giorno a passo sostenuto (percorrendo 5-6 km) è cognitivamente più giovane di 5 o 7 anni! In numerosi studi prospettici eseguiti su grandi numeri di soggetti, elevati livelli di attività fisica riducevano il rischio di declino del 38 % rispetto ai sedentari, mentre l’esercizio moderato leggero del 35 %.

In un altro studio è stata esaminata l’influenza di diverse attività principali di svago sull’incidenza di malattia di Alzheimer e si è visto che sicuramente proteggono le seguenti attività: leggere, giocare (giochi da tavolo), suonare strumenti musicali, danzare.

Tutti gli studi convergono nel confermare che l’attività fisica e mentale svolge un ruolo protettivo e di mantenimento delle funzioni cognitive anche dopo i 75 anni. L’attività fisica o mentale (incluso lo svago e il lavoro, se piacevole) riducono di almeno un terzo il rischio di demenza. Ma quali meccanismi biologici possiamo ipotizzare alla base dell’efficacia di queste attività?

Anziani

La risposta a questo importante quesito è emersa da uno studio americano del 2011 nel quale sono stati seguiti 120 anziani, di cui metà praticava  un training fisico aerobico e metà no.

L’esercizio aerobico aumenta del 2 % il volume dell’Ippocampo, sede fondamentale dei processi di apprendimento e memorizzazione, invertendo di circa 2 anni la naturale perdita prevista per l’età, con migliori funzioni di memoria. Nei controlli non sottoposti al training aerobico il volume dell’ippocampo diminuiva.

Un altro aspetto fondamentale è quello relativo allo stile di vita alimentare. Partendo dal presupposto che la nostra dieta mediterranea è la migliore al mondo con l’uso equilibrato dei nutrienti e di prodotti come l’olio di oliva extravergine, possiamo ragionevolmente affermare che è possibile ridurre il rischio mangiando pesce e frutta secca oleoginosa come le nocciole, le mandorle o le noci e anche carne di pollo. Sono alimenti che contengono acidi grassi polinsaturi omega-3 e che hanno la capacità di ridurre i tassi nel sangue della proteina beta-amiloide, che è associata ai problemi di memoria e alla malattia di Alzheimer.

Una buona notizia proviene da uno studio effettuato alla Columbia University, a New York, e pubblicato su Neurology. Nello studio sono stati inclusi 1.219 newyorchesi con più di 65 anni di età, senza turbe cognitive. Gli si è chiesto di compilare un questionario molto dettagliato sulle loro abitudini alimentari. Un anno e mezzo dopo sono stati sottoposti a un prelievo di sangue che ha misurato il livello della proteina beta-amiloide. E’ stato cercato un legame con la proteina circolante, per dieci componenti nutritivi: acidi grassi saturi, acidi grassi polinsaturi omega 3 e omega 6, acidi grassi monoinsaturi, vitamina E, vitamina C, vitamina D, vitamina B12, folati, betacarotene.  Lo studio ha anche delineato un menu di massima a base d’insalata, pesce, frutta, carne di pollo, margarina.  Lo studio ha anche dato una conferma di una cosa che già si sapeva: la dieta mediterranea è utile per prevenire le alterazioni cognitive leggere, che spesso precedono l’Alzheimer.

L’importanza essenziale della buona prevenzione non è quella di renderci immortali, (sebbene l’attesa di vita alla nascita per un bambino che nasce oggi è di 100 anni, (limite teorico), perseguendo un programma di eliminazione (impossibile) della vecchiaia per ridiventare giovani, ma solo per invecchiare bene con successo.

Roberto Dominici

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