di Francesca Radaelli
Sequals è un piccolo comune friulano in provincia di Pordenone. Nel cimitero di questo paese di poco più di duemila abitanti è sepolta una montagna che un tempo camminava. ‘Mens sana in corpore sano’, si legge sulla tomba. Lì giace l’uomo conosciuto come ‘il gigante di Sequals’, Primo Carnera.
Pesa già otto chili quando viene al mondo, a Sequals, il 25 ottobre 1906. Ancora bambino ma dalla statura già incredibile, la miseria della sua famiglia lo costringe a fare il mendicante. Quando il padre è chiamato in guerra, all’età di nemmeno 10 anni, è costretto a emigrare in Francia con la madre e i fratelli. Qui inizia a lavorare come carpentiere ma ben presto diviene un’attrazione del circo, proprio grazie alla sua stazza impressionante e alla forza sorprendente che a stento riesce a controllare. “Chi osa combattere contro l’uomo più forte del mondo?”: doveva essere di questo genere la domanda che il proprietario del circo ambulante di Le Mans andava ripetendo girando per i villaggi e rinnovando la sua sfida. Sembra che in pochi abbiano il coraggio di accettarla, questa sfida, spaventati dalla mole di quell’uomo alto oltre due metri, pesante 120 chili e che, si dice, portava il 52 di piede.
Eppure quel gigante è tutt’altro che bellicoso e aggressivo: “Sono tanto sensibile che se mi toccano mi metto a piangere”, afferma un giorno.
Anni più tardi, quando non è più un ‘fenomeno da baraccone’ ma un pugile celebre in Italia, Europa e America, mette ko alla 13esima ripresa l’avversario Ernie Schaaf, che entra in coma e muore pochi giorni dopo. È allora che Primo entra in crisi profonda: ha ucciso un uomo, vorrebbe ritirarsi dalla boxe, dire addio per sempre al ring. Ma poi è la stessa madre di Ernie, il pugile morto, a convincerlo a continuare a combattere la sua lotta.
Una lotta che proprio quell’anno, il 1933, lo porterà a conquistare il titolo di campione mondiale dei pesi massimi, dopo il big match al Madison Square Garden di New York contro Jack Sharkey.
Una lotta che però, in fondo, non è mai stata davvero la ‘sua’ lotta.
Sì, perché della forza eccezionale del lottatore di Sequals si impossessano prima i manager della mafia italo americana, che agli inizi della sua carriera truccano gli incontri all’insaputa dello stesso Primo (sottraendogli tra l’altro anche parecchio denaro), poi Benito Mussolini in persona, che ne fa un simbolo del Fascismo, esaltato dal Minculpop e dalla stampa di regime come massimo esempio di ‘virilità italica’.
Carnera non si sottrae. Il suo cuore è semplice, nobile e privo di malizia. Il suo corpo enorme diventa un simbolo e viene sbattuto qua e là. Sul ring, sulle copertine dei quotidiani sportivi, ma anche sugli schermi e le locandine dei film in cui viene scritturato (reciterà in quasi 20 film tra cui L’idolo delle donne, Ercole e la regina di Lidia, Il tallone di Achille) .
Ma, non appena inizia la parabola discendente, Primo Carnera viene lasciato solo con il suo corpo ingombrante. Nel 1934 è sconfitto dall’amico Max Baer, l’anno successivo dal ventunenne Joe Louis. Il primo è ebreo, il secondo un nero. In Italia il Minculpop vieta ai giornali di pubblicare le foto del pugile simbolo della grandezza italica a tappeto sul ring.
Abbandonato il pugilato, il corpo gigantesco di Primo Carnera rinasce grazie al catch, ossia quel tipo di lotta ad alto contenuto spettacolare da cui deriva il wrestling di oggi. Per il gigante di Sequals è un ritorno alle origini, allo spirito del circo, allo spettacolo dell’uomo più forte del mondo. Un uomo dal corpo enorme e dal cuore semplice. Un uomo che, per tutta la vita, di fronte ai pugni, quelli da dare e quelli da prendere, non si è mai tirato indietro.
Francesca Radaelli