di Enzo Biffi
Osservare, in uno specchio di mare trasformato, le riserve della storia: memorie di mille lager, gulag e foibe.
Cercare qualche indizio positivo che possa aprire una breccia di speranza, far filtrare un po’ di luce, nel muro eretto dalle nostre razionali e ciniche ragioni di stato, corpo, trattato.
Capire che nulla è più pericoloso del groviglio di norme, leggi, regolamenti inventato non per rispetto e costruzione ma a difesa della civiltà del proprio popolo.
Arrendersi all’evidenza che nomi e cognomi, madri e figli, diplomi e professioni, gioie e speranze, investimenti e futuro, sono parole senza sinonimi se divise da un tratto di mare blu.
Rassegnarsi all’evidente insensibilità di cui si vestono eleganti paesi, coperti da un intrico inestricabile di giustificazioni, crisi di sistema, globalizzazione, cuneo fiscale, pensiero debole e così via.
Discutere il valore del salvataggio di uomini fatti ombre in mezzo al buio, fatti carne per fratelli cannibali, cercando nella storia di ciascuno giustificazioni al nostro benevolo intervento.
Dimenticarsi che si è umani prima che giovani, vecchi, poveri, colpevoli o innocenti, colti o ignoranti.
Riflettere sul fatto che lo stato di profugo si attribuisce a colui che fugge dalla propria terra, dalla propria patria e dalla propria cultura in seguito a catastrofi o guerre.
Forse non ci siamo ancora accorti ma siamo in fuga anche noi. Giovane Europa dei banchieri e dei social; Vecchia Europa, coi suoi valori liberali, fondata su giustizia e solidarietà, con le sue terrazze romane e i suoi valzer viennesi.
Siamo in fuga, costretti e sconfitti dalla peggiore delle catastrofi .
Silente e inesorabile nebbia dell’egoismo.