Promesse da marinaio

di Alfredo Somoza

Da un lato il Fondo Monetario Internazionale avverte che il Covid-19 potrebbe diventare un problema endemico per l’Africa subsahariana, compromettendone lo sviluppo. Dall’altro il cartello di associazioni sanitarie e umanitarie People’s Vaccine Alliance denuncia che, rispetto agli 1,8 miliardi di dosi promesse al fondo Covax, nato per distribuire vaccini ai Paesi più poveri, al momento ne sono arrivate 261 milioni, solo il 12%.

Le aziende produttrici, che stanno macinando miliardi su miliardi, hanno consegnato solo 120 milioni di dosi sui 900 milioni promessi. Johnson & Johnson e Moderna nemmeno una. È l’ennesima dimostrazione della distanza tra le promesse, buone da spendere durante i grandi vertici mondiali, e la realtà. Proprio com’è già successo più volte con i fondi per la cooperazione allo sviluppo e con quelli destinati a mitigare gli effetti del cambiamento climatico sostenendo i Paesi con grandi superfici forestali. Facendo una media approssimativa, di solito va bene se si arriva al 10% di quanto promesso.

Ma, mentre le ricadute delle mancate promesse su ambiente o sviluppo si manifestano a distanza di tempo, per il Covid-19 i risultati di questa miopia si vedranno a breve. Nell’Africa subsahariana gli immunizzati con una sola dose sono il 4,5% della popolazione e solo il 2,6% ha ricevuto un ciclo completo. Secondo il FMI questo ritardo gigantesco sta pesando notevolmente sulla crescita economica, che per il 2021 è prevista al 5,9% a livello globale ma solo al 3,8% – nella migliore delle ipotesi – per l’Africa subsahariana. Si calcola che il gap accumulato dall’Africa in materia di vaccinazioni si estenderà fino al 2023, e di conseguenza il continente dovrà fare i conti con ulteriori restrizioni alle attività sociali ed economiche.

Inoltre, molte organizzazioni non governative denunciano che l’Africa resta così esposta alla circolazione di nuove varianti più aggressive del virus che potrebbe quindi diventare endemico, con una conseguente perdita di PIL anche a lungo termine che costringerà a ulteriori ricorsi al debito, già ora un macigno per molti Stati, situazione che colpisce soprattutto i più deboli per via dell’aumento del costo degli alimenti.

L’OMS auspica che entro la fine del 2021 sia vaccinato almeno il 40% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo. In realtà, l’unica misura che poteva favorire questo traguardo, cioè la sospensione dei brevetti come previsto dal WTO in situazioni di emergenza per moltiplicare i soggetti in grado di fabbricare i vaccini, è stata per ora accantonata. Dallo scorso luglio, quando a Ginevra è stata l’Unione Europea a bloccare la moratoria proposta da India e Sudafrica, la mediazione si è fatta sempre più difficile: mentre nella maggior parte del mondo mancano i vaccini, in Occidente si è dato il via alla somministrazione della terza dose.

Poche volte come in questo caso il mondo ha dato l’idea di essere un condominio in guerra contro se stesso. Dopo un primo momento all’insegna del “si salvi chi può”, se vogliamo comprensibile, ora ci sarebbe la serenità per decidere di eradicare il Covid-19 a livello globale. Eppure continuano a prevalere da un lato gli egoismi, dall’altro la tutela a spada tratta degli interessi della grande industria farmaceutica. Il tema non è nuovo, ma in questo frangente lascia intendere come gli attuali legami e rapporti di forza tra l’economia e la politica siano così forti che praticamente nulla può metterli in discussione. Nemmeno una pandemia.

Quando arrivano i vertici internazionali scatta il solito copione: è il momento di formulare solenni promesse da marinaio, alle quali ormai non crede più nessuno. Per pochi minuti, sotto i riflettori, i leader delle grandi potenze recitano evocando principi alti, parlano di etica e di solidarietà, si danno un tono da grandi statisti. Per poi dimenticare tutto dopo pochi giorni, fino al prossimo vertice.

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