da Giannella Channel
“Sono un uomo che ha sognato di essere Enzo Ferrari”
Enzo ha 10 anni e insieme a suo fratello Dino è a Bologna. È eccitato e felice. Papà Alfredo li ha portati ad assistere alla Coppa Florio. Sulla Via Emilia sfrecciano piccole auto rombanti che raggiungono persino i cento chilometri all’ora. Vincerà Felice Nazzaro. Vincenzo Lancia farà il giro più veloce. È il 6 settembre 1908. Nello stesso anno a Milano nasce l’Inter, a Ivrea Camillo Olivetti comincia a fabbricare macchine da scrivere. Negli Stati Uniti è messa in vendita la prima Ford Modello T, quella di nonna Papera, che sarà prodotta in 15 milioni di esemplari. Dopo aver visto la corsa il piccolo Enzo ha deciso: il suo futuro sarà con le auto più veloci, anzi con le auto da corsa.
Enzo vuol fare il pilota. Uno dei suoi miti è il pilota automobilistico Raffaele de Palma, naturalizzato statunitense ma nato a Biccari (scarsi tremila abitanti sui Monti Dauni, Foggia, che vanta anche tra i suoi cittadini illustri anche Donato Menichella, direttore generale dell’IRI dal 1934 al 1944 e governatore della Banca d’Italia dal 1947 al 1960). Emigrato bambino negli Stati Uniti, vincerà la Coppa Vanderbilt e la 500 miglia di Indianapolis. Dopo averlo visto la prima volta su una rivista illustrata, va caccia di altre immagini e di sue notizie.
In casa Ferrari si parla spesso di auto. Il papà Alfredo è uno dei pochi fortunati che ne possiede una e ne è giustamente orgoglioso. In provincia di Modena ce ne sono solo una ventina. Muli, cavalli e calessi sono i motorini, le Smart e i SUV del suo tempo. Ma il piccolo Enzo, già piccolissimo, ha potuto vantarsi di essersi seduto al posto di guida dell’auto di papà. Era una Dion Bouton, poi sostituita da una Marchand a due cilindri, prodotte in Francia da aziende che prima costruivano motori a vapore. Papà Ferrari è nato a Carpi. È titolare di un piccola azienda con una ventina di operai. Lavora per le Ferrovie dello Stato, costruisce tettoie e pensiline.
Mamma Adalgisa invece discende da una famiglia della piccola nobiltà di Forlì. Hanno solo due figli maschi, Enzo e Alfredo Junior, detto Dino, di due anni più grande. Non sono ricchi, ma abbastanza benestanti da garantire ai loro figli una buona cultura e una certa agiatezza. Vivono a Modena, con serena sobrietà. Papà Alfredo porta i capelli a spazzola e ostenta un bel paio di baffi. Dal lunedì al venerdì, ogni mattina si alza alle 7 e lavora in officina fino a tarda notte. Annota tutto su un registro, anche le cose più minute. Se scrive una lettera ne conserva una copia grazie a una speciale carta copiativa. Sabato sera porta tutta la famiglia a teatro. Poi c’è la rituale cena nel retrobottega di un salumiere dove si mangia ogni ben di Dio modenese. Domenica gita in automobile in campagna ma la sera tutti a letto presto perché lunedì si ricomincia: i ragazzi a scuola, papà in bottega.
Ci si alza per forza presto al mattino, la camera dei ragazzi si affaccia sull’officina, dove si lavora di lima e di martello. In casa c’è una grande mamma: Adalgisa è una signora in gamba. Anche a 93 anni dispenserà perle di saggezza contadina a chi le sta intorno: “Chi salute ha, è ricco e non lo sa”, “non far del bene se non hai la forza di subire l’ingratitudine”, “non smettere mai, mai, mai” e così via.
Il piccolo Enzo a scuola non è una cima, a differenza del fratello, primo della classe. Il futuro fondatore dell’azienda più prestigiosa d’Italia non ama i libri di scuola, la geografia e la matematica. È persino bocciato all’Istituto Tecnico, come racconterà a Enzo Biagi in una del sue rare interviste. Preferisce la bicicletta e le avventure tra i campi, dove vaga armato di fucile ad aria compressa. Ha una mira molto precisa: è uno sterminatore di topi. In compenso alleva piccioni, un’arte che necessita doti di organizzatore, doti che non gli mancheranno mai.
Tra i suoi sogni da adolescente c’è quello di diventare cantante di operetta, anche per stare in mezzo ad attricette e ballerine, oppure giornalista sportivo, cosa che promette bene perché a diciassette anni riesce a farsi pubblicare un resoconto della partita Modena-Inter.
Anche il lavoro manuale gli piace, e spesso scende in officina a dare una mano a suo padre, che lo vorrebbe più studioso e lo immagina ingegnere.
Un’infanzia e una adolescenza felici quindi. Purtroppo scoppia la Grande Guerra, che travolge tutto e tutti, anche chi è lontano dal fronte. Un’ombra scura cala sulla famiglia Ferrari.
Papà Alfredo prende freddo lavorando e muore per una banale polmonite che oggi sarebbe curata con una pillolina di antibiotici. Poco dopo l’amato fratello che si era offerto volontario, al fronte si ammala e muore per una malattia polmonare.
Enzo, non ancora diciottenne, è chiamato alle armi dal Regio Esercito, al 3° Reggimento Artiglieria Alpina, e anche lui, ironia della sorte, si ammala mentre presta servizio sulle montagne bergamasche: una pleurite con complicazioni. È salvato dalla madre, che riesce a farlo trasferire all’ospedale militare per incurabili di Bologna, da dove, grazie alle sue cure, ne esce miracolosamente vivo e congedato.
A fine guerra, nel 1918, lo troviamo disoccupato e disperato a Torino. Ha in tasca una lettera di referenze del suo comandante per il capo del personale della Fiat. Ha fatto domanda di assunzione alla Fabbrica Italiana Automobili Torino, che in pochi anni è diventata una delle più grandi aziende del paese. Per paradosso l’uomo che nel ’69 venderà il suo marchio alla Fiat di Agnelli con un accordo che sarà definito miliardario, è messo alla porta e rifiutato.
Ma a Torino si ferma perché trova il suo primo vero e proprio lavoro. È collaudatore in una carrozzeria dove si recuperano autocarri militari dismessi e si fanno diventare auto di lusso, torpedo e cabriolet. Corre su belle macchine e si diverte. A Torino incontra anche il primo grande amore della su vita, Laura. È un amore travolgente che sarà contrastato dai genitori di lei e da sua madre Adalgisa, ma Laura sarà anche una preziosa compagna negli anni eroici della scuderia Ferrari. Poi una casuale conoscenza al Bar Vittorio Emanuele, allora covo di patiti del motore, lo fa arrivare a Milano, alla CMN per la quale partecipa come pilota alla X Targa Florio. Poi all’Alfa Romeo come Gentlemen Driver, per la quale correrà finalmente accanto a piloti come Tazio Nuvolari e Antonio Ascari. Vincerà varie gare e porterà a casa premi e trofei. Il più inatteso è il simbolo che l’aviatore di Lugo di Romagna, Francesco Baracca, portava sulla carlinga del suo aeroplano. Gli è donato dalla madre di Francesco, la contessa Paolina Biancoli: “lo metta sulle sue macchine, le porterà fortuna”.
Il suo sogno da bambino sembra raggiunto. Invece è solo l’inizio di una grande avventura. Enzo Ferrari correrà, correrà e smetterà definitivamente di correre come pilota solo nel 1932, alla nascita di suo figlio Dino. Nel 1947 il logo con il cavallino verrà messo sulle auto di sua produzione e corre tuttora. Anche a Wall Street.