Sorrisi, ordine e pulizia. Questo è ciò che mi ha colpito appena entrata nel carcere Due Palazzi di Padova, accedendo a quella che è l’eccellenza italiana delle cooperative sociali che impiegano detenuti all’interno degli Istituti di Pena.
Mercoledì 24 giugno ho avuto l’onore di far visita a Nicola Boscoletto e alla sua Officina Giotto che all’interno del carcere di Padova gestisce una serie di attività lavorative qualificate che impiega circa centoquaranta detenuti su un totale di ottocento del carcere di massima sicurezza. La Cooperativa Giotto nasce nel 1986 dalla volontà di un gruppo di giovani ragazzi appena laureati di creare una realtà di lavoro concreta per il loro futuro. Nel 1990 la loro prima richiesta di entrare al Due Palazzi per formare i detenuti allo scopo di gestire le aree verdi all’interno del carcere; dopo molte difficoltà, nel 1998 viene realizzato il primo Parco Didattico. Nel corso degli anni la Cooperativa riesce ad incrementare gradualmente le attività all’interno del carcere fino a divenire ciò che io ho ammirato, non con poca meraviglia.
Pasticceria, ristorazione, call center, valigeria, officina di biciclette, digitalizzazione… sono i mestieri che questi detenuti imparano grazie alla loro nuova famiglia, l’Officina Giotto. Entrando al call center mi ha subito colpito l’atmosfera, diversa da qualsiasi altro laboratorio realizzato all’interno di un carcere. I ragazzi, tutti ben vestiti e ordinati, in totale armonia tra di loro e con gli agenti penitenziari. Da qui alla pasticceria, visibile grazie ad una vetrata dallo stesso call center ( “perché ci si deve sentire a casa” ), dove i pasticceri realizzano le loro maestrie con dedizione, cura e passione. Qui, oltre all’atmosfera degna di una normale impresa, regna anche un profumo che ancora oggi rallegra il mio spirito. Poi l’officina delle biciclette, dove il lavoro deve essere svolto in squadra e loro sono addirittura una famiglia. Arriviamo nella zona delle valigie, dove anche qui tutti sono ben vestiti e ordinati nonostante il loro lavoro più manuale: realizzano tutti gli accessori che verranno poi assemblati sulle valigie (dalle maniglie, all’incisione “Made in Italy”, alle ruote…). Poco dopo il piccolo laboratorio per la digitalizzazione, tra montagne di fogli e chiavette USB.
La gita si è conclusa con una chiacchierata con tre coordinatori del call center; sembrava di essere in riunione con tre manager aziendali: competenza, proprietà di linguaggio, comunicazione, presenza… e pensare che uno di loro fino a qualche anno fa era analfabeta.
La visita al Due Palazzi ha confermato il pensiero che da sempre sostengo: il lavoro accompagnato alla rieducazione è l’unico modo per recuperare detenuti e renderli padroni della loro vita. Qui, i detenuti, sono incoraggiati a coltivare una nuova immagine di sé, opposta al modello criminale che hanno costruito sulla loro pelle.
Sono convinta che i tagli alle cooperative degli ultimi tempi siano una grossa ingiustizia nei confronti di chi ha investito la propria anima affinché questi detenuti possano essere realmente riconsegnati alla società come nuove persone. E’ una ingiustizia che le realtà come Giotto siano ancora poche. E’ una ingiustizia che i direttori degli Istituti Penitenziari non prendano esempio da modelli come questo per rimanere ancorati alle loro ideologie e idee di rieducazione. Chi sta in alto dovrebbe spendere qualche ora del suo tempo per riflettere sulla differenza abissale tra il Due Palazzi e il resto dei carceri.
Jenny Rizzo