Racconto di Natale


Non c’era in giro nulla di nulla, ma a casa chi li avrebbe sentiti i suoi figli? Presa dalla frustrazione si fermò un attimo a riordinare le idee.

Per scacciare quell’assillo aveva i giorni contati. Era partita prima dell’alba sperando contro ogni ragionevole previsione di tornare entro poche ore, perché prima o poi un colpo di fortuna doveva pur arrivare. Ma come accadeva da troppo tempo, al tramonto era ancora a mani vuote. Se non è rimasto proprio nulla puoi aspettarlo quanto vuoi il colpo di fortuna. Perciò si spingeva ormai ben oltre le zone a lei note, allungando la strada del ritorno e rischiando pure di fare brutti incontri. Ancora qualche ora di ricerca, poi sarebbe dovuta tornare.

Come ogni anno nel periodo più oscuro, l’accampamento era invaso da una gioia inebriante. Un’emozione magica che non si sapeva neppure come chiamare, tanto era esclusivo il suo legame con quei pochi giorni e solo con quelli. Perciò si chiamava semplicemente “la magia dello Yule”. Lo Yule era un’irragionevole serata di baldoria al tempo in cui le privazioni invernali cominciavano a farsi terribili. In segno di fiducia negli dei non solo ci si abbuffava e ubriacava, ma si sacrificavano loro persino un maiale e altri piccoli animali, con vero sprezzo del pericolo per non dire incoscienza allo stato puro.

Tutti i bambini in quel periodo erano allegri, alle prime nevicate ringraziavano sottovoce gli dei mentre gli adulti imprecavano. La neve era il più bel giocattolo mai visto, ed era un indizio dell’avvicinarsi dello Yule.

Tutti i bambini in quel periodo erano allegri, ma a volte qualcuno faceva eccezione. Tok, di nove anni, non sopportava il fratello Kot, di quattro. E in quel momento non amava neanche la neve. Tok avrebbe voluto ultimare i preparativi con gli altri bambini più grandi, in particolare con la sua amica Len: decorare gli alberi, aiutare in cucina, ammucchiare la legna per i falò. Non è tanto importante cosa fai ma con chi. Quell’anno però la mamma non riusciva a preparare la festa e al tempo stesso badare a Kot, cresciuto abbastanza da voler correre con i suoi amichetti troppo lontano dalle mamme, a giocare sulla neve. Il risultato era che ad avere fratellini di quell’età si veniva reclutati come controllori. Già in generale Tok non gradiva l’arrivo di fratelli e sorelle; disturbavano il suo piccolo mondo, a lui piaceva così. Ora che era abbastanza grande da essergli imposto quel personale coinvolgimento, rivalutava la sorellina Brit, che aveva avuto l’accortezza di morire di polmonite a soli due anni.

Sentì da lontano la voce di papà: si stava facendo buio, doveva riportare i piccoli all’accampamento. Tok era sdraiato supino su un tronco caduto e guardava il cielo violaceo. Non aveva alcuna voglia di muoversi da quella posizione. Da quanto tempo l’aveva trovata? Boh, ma era perfetta. Da quanto tempo non guardava i bambini? Non se lo ricordava neanche. Forse era proprio il caso di alzarsi, anche perché non li sentiva nemmeno: c’era un allarmante silenzio.

Eccoli infatti, quasi dei puntini: lontanissimi da dove lui aveva detto di fermarsi. Prima di rincasare le avrebbero prese. Si incamminò verso di loro urlando cose poco piacevoli.

***

Era arrivata in un luogo da cui normalmente sarebbe fuggita a gambe levate. Quando per disgrazia capitava di incrociarli, era imperativo occultare la propria presenza e, possibilmente, fare i bagagli e trasferirsi lontano. Ecco spiegata quella carestia così dura: voraci e spietati, dove passavano loro il cibo spariva in un lampo. Erano i migliori a procurarselo e lo accumulavano senza ritegno. Non accettavano concorrenza e soprattutto non accettavano il minimo rischio: perseguitavano fino in capo al mondo chiunque considerassero una minaccia.

Normalmente sarebbe fuggita a gambe levate, ma ormai era tanto al limite da non potersi concedere questo lusso. Poteva essere l’ultima opportunità di salvezza per i suoi figli.

***

I bimbi piccoli, a malincuore e con una lentezza esasperante, si erano incamminati verso Tok. Un’altra presenza, dietro un cespuglio innevato, valutava rapidamente il da farsi. Non c’erano adulti armati nei paraggi. Inizialmente interessata al più grande, pensò poi che due di quelli piccoli sarebbero stati comunque facilmente trasportabili, e ne avrebbe ricavato di più. Con un balzo l’enorme tigre oscurò il tramonto di fronte a Kot e al suo amico Vlag, e prima che loro o gli altri si rendessero conto dello spavento era già lontana. Fulminea, tra le fauci teneva per il collo due vittime che scottavano.

Era un piacere vedere i suoi piccoli riempirsi la pancia come non facevano da tanto tempo. E adesso? Aveva fatto di tutto per confondere le tracce, allungando la strada, camminando sul ghiaccio, persino saltando da un albero all’altro. Per fortuna abitava molto lontano dall’accampamento dei terribili bipedi: con cuccioli di quell’età e in quella stagione, non sarebbe stato facile trovare un nuovo domicilio. Domani avrebbe cominciato a cercare. Ora per cancellare davvero le sue tracce ci sarebbe stata proprio bene una bella nevicata.

Le crudeli scimmie scese dagli alberi non erano i padroni del mondo, non erano invincibili. Comunque non quella sera. Oltre alla carne, i cuccioli ricevettero una doppia dose di coccole dalla loro mamma. E fuori cominciò anche a nevicare. Quella sera sembrava che tutto fosse possibile.

Andrea

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