Il Reichstag brucia ancora ad Ankara

Reichstag_incendioNella notte del 13 febbraio 1933 il Reichstag tedesco andò in fumo. Il “colpevole” fu trovato seminudo e nascosto dietro il palazzo, era un militante comunista. Hitler prese la palla al balzo per fare approvare al vecchio presidente von Hindenburg il Decreto dell’incendio del Reichstag che aboliva la maggior parte dei diritti civili contenuti nella Costituzione di Weimar. Fu l’inizio del totalitarismo in Germania.

Nella notte del 15 luglio 2016, in Turchia è andato in scena un tentativo maldestro di colpo di Stato rientrato dopo poche ore e dai contorni ancora tutti da chiarire. Soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza dei soldati che vi parteciparono (soprattutto quelli di leva),  il ruolo degli Stati Uniti e della Russia, il ruolo dei servizi d’intelligence turchi. Dubbi e misteri di una lunga notte funestata dal sangue di oltre 300 persone.

Al netto delle dinamiche e delle responsabilità del golpe mancato, ciò che ricorda da vicino l’incendio del Reichstag è stato il dopo. Stato di emergenza, liste già pronte di migliaia di persone da incarcerare o da radiare (militari, giudici ordinari, giudici costituzionali, giornalisti). Torture, linciaggi e vendette ai danni dei soldati arresi.

Un progetto di Costituzione presidenzialista di stampo autoritario già scritta. Stato di emergenza permanente con divieto di espatrio per i dipendenti pubblici. Possibile reintroduzione della pena di morte. Distruzione progettata dei simboli della laicità turca di Istanbul (Centro culturale Ataturk, Piazza Taksim) per costruire nuove moschee e caserme militari per i fedelissimi.

La Turchia in bilico tra l’Europa e Asia sta definitivamente rompendo gli ormeggi con l’Europa per posizionarsi saldamente in una nuova collocazione, a cavallo tra i Balcani, la Russia e il Medio Oriente. Progetta una politica da potenza regionale autonoma, ma sotto l’ombrello della NATO, in quella parte del mondo che gli Stati Uniti non riescono più a influenzare e che l’Europa ha praticamente data per persa.

Non è indifferente in questo disegno la configurazione politica che assumerà il nuovo sultanato. Presidenzialismo forte, libertà di stampa e di opposizione controllata o repressa, Parlamento addomesticato. Un modello che Erdogan non ha fatto fatica a individuare, è bastato voltarsi verso Mosca per trovarlo.

Sarà un regime più “democratico” di quello di Al Sisi, caposaldo dei regimi “anti islamisti”, ma meno rassicurante di quello putiniano. Anche perché nel caso turco gioca un ruolo non indifferente la vicenda religiosa che collega Ankara con le monarchie sunnite e con i gruppi dell’estremismo salafiti sul campo nei diversi scenari di guerra.

E l’Europa? Dopo il sollievo per il golpe mancato si è passati velocemente alle perplessità. La minaccia più pesante nei confronti di chi sta violando ogni diritti umano nella gestione del dopo-golpe e mettendo a tacere ogni forma di opposizione è stata “così non entrerà in Europa”.

Ma qualcuno pensa seriamente che oggi l’ingresso all’UE, che per la Turchia come si sa è solo un miraggio, possa garantire qualcosa di più dei vantaggi di istaurare un regime? L’Europa in crisi profonda, che non sa ancora come risolvere i problemi posti dalla Brexit, dalle tensioni ad est e dalla crisi economica è ancora convinta di essere attrattiva per qualcuno?

L’unico legame della Turchia con le democrazie occidentali rimane la NATO, che come sappiamo non si strappa le vesti sulla democrazia nei paesi membri. I turchi (ma anche i portoghesi e i greci) sono stati nella NATO in democrazia e sotto le giunte militari, indistintamente. Dobbiamo temere per i diritti umani e civili in Turchia e, con molta probabilità, si intensificherà la guerra strisciante contro ogni ipotesi di autonomia dei kurdi.

Un Erdogan più forte è anche una pessima notizia per gli equilibri mediorientali. Nella spartizione siriana in corso, tra aree di influenza russo-alauiti, sciite e kurde anche la Turchia rivendicherà la sua fetta che con ogni probabilità coinciderà con quella kurda.

La balcanizzazione del Medio Oriente è un orizzonte sempre più attuale, e dalle macerie dei confini disegnati dagli accordi post-coloniali emergerà anche una potenza geografica, demografica, a cavallo tra Europa e Asia che avremo potuto includere per tempo nella costruzione europea “sganciandola” da tentazioni islamiste e autoritarie, ma che la miopia della politica nostrana ha regalato a quel mondo sempre più ostile e caotico che chiude da Ovest e da Sud il Vecchio Continente.

Alfredo Somoza

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