di Francesca Radaelli
Che sia uno dei fenomeni caratterizzanti il nostro tempo è piuttosto semplice da capire. Sicuramente più complicato è gestirlo nella sua complessità, anche e soprattutto per l’impatto che può esercitare sulla società. Parliamo di migrazioni e, a questo proposito, il verbo riveste un’importanza fondamentale. Perché c’è modo e modo di ‘parlare’ di migranti, e c’è modo e modo di raccontare l’accoglienza. Non solo, il modo che si sceglie spesso finisce per influenzare – e non poco – proprio le modalità di reazione di quelle comunità chiamate a confrontarsi con chi arriva.
Esemplare in questo senso un’episodio della scorsa settimana che ha visto coinvolti da un lato uno dei maggiori quotidiani nazionali, dall’altro alcune tra le associazioni in prima fila sul fronte dell’accoglienza.
“Porte chiuse agli immigrati, la solidarietà flop delle parrocchie”. Così recitava il titolo dell’articolo pubblicato lo scorso 21 dicembre sul quotidiano La Repubblica, incentrato sulla situazione dell’accoglienza nelle parrocchie italiane a oltre cento giorni dall’appello di papa Francesco, che aveva invitato ogni parrocchia ad accogliere una famiglia di migranti. Un titolo che non è piaciuto a Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, le due organizzazioni che si occupano di gestire l’accoglienza nelle parrocchie e nelle organizzazioni religiose. E che ogni giorno operano sul campo, districandosi in uno scenario non certo facile. E che si sono sentite negare, da un titolo di giornale, tutto il lavoro costruito con pazienza in questi mesi. Un lavoro a diretto contatto con le persone, tanto con i migranti ospitati quanto con parrocchiani spesso diffidenti. Vedendo ‘mortificare’, tra l’altro, l’impegno di tanti operatori, volontari, parrocchiani impegnati ogni giorno.
“Viviamo in una società già abbastanza malata di diffidenza ed è inaccettabile veder negato da un titolo lo sforzo dell’intera rete ecclesiale nell’accoglienza sul territorio”, si legge nel testo. “Spiace continuare a vedere titoli generici e semplicistici sparati nel calderone mediatico tanto per far rumore, a fronte di situazioni che, paradossalmente, dallo stesso corpo dell’articolo emergono come complesse e in itinere, non riducibili a una mera questione di numeri e percentuali, né tantomeno a grossolane contrapposizioni culturali. Su che basi si afferma che la solidarietà fa flop nelle parrocchie e che i numeri sono esigui?”. Le associazioni rendono noto che sono oltre 23.000 i richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle Diocesi italiane: 1 su 4 dei richiedenti asilo in Italia è accolto in una struttura ecclesiale, arrivando addirittura ad essere 1 su 2 in regioni come la Lombardia, e la Basilicata o 1 su 3 in Piemonte.
Al di là delle questioni di numeri e di merito, però, ciò che a Caritas e Migrantes non va giù è l’approccio superficiale e sensazionalistico espresso da un titolo che, tra l’altro, non rende ragione dei contenuti dell’articolo, il quale invece, a ben leggere, riconosce molti meriti all’impegno della rete ecclesiastica per l’accoglienza. I problemi ci sono, è vero quello che si dice nell’articolo, che per ottenere i contributi statali bisogna garantire otto metri quadri a posto letto, un bagno ogni quattro persone, che le strutture a disposizione devono essere messe a norma, che non basta il buon cuore e serve professionalità. Ma almeno c’è qualcuno che ci prova, che si impegna e che si rimbocca le maniche.
E se i movimenti cattolici provano a fare la loro parte, forse anche i media potrebbero provare a fare, un po’ meglio, la loro. Scrivono Caritas e Migrantes: “La sfida che oggi ci si presenta è – come ci ha ricordato papa Francesco nel Messaggio per la XLIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali – reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione… L’informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l’una o l’altra, anziché favorire uno sguardo d’insieme”.
Perché davvero c’è chi si impegna ogni giorno, pur tra mille difficoltà, per rispondere a quell’appello all’accoglienza di papa Francesco. E soprattutto, piace pensare, alla sua coscienza di essere umano. Persone che forse meritano di essere raccontate con maggiore rispetto e attenzione.
Francesca Radaelli