Riapre a Desio la Sala Primo Levi

di Luciano Giambelli

Sabato 16 marzo, a Desio, è stata riaperta la Sala Carlo Levi. Un evento dopo una lunghissima gestazione come ci racconta Luciano Giambelli, architetto che, quaranta anni fa, fu tra i protagonisti  degli affreschi, molto belli, violati  da vandali nel 2015. Quello che segue è il suo intervento che ricostruisce la storia  e il significato degli affreschi.

“Anzitutto mi chiedo, e chiedo a tutti noi, di riflettere sul nostro essere qui a ri-inaugurare questa sala, oggi, così offensivamente oltraggiata, e, incredibilmente, con ingiuriosa prepotenza,  per ben due giorni consecutivi: un affronto alla città ed alla cultura che in essa si rappresenta! Con grande amarezza mi chiedo come si sia potuti arrivare a questo punto. E’ questa una riflessione che ripercorre una strada lunga 40anni,  da un tempo, era il 1975, in cui quattro artisti, con lo slancio gagliardo degli entusiasti, pensarono di arricchire questo spazio dedicato alla promozione culturale e civile, offrendo la propria arte in  omaggio alla città e ai cittadini tutti.

Vitale Petrus

In quel 1975, il gruppo dei 4 costituiva un collettivo di lavoro affiatato, e la ex cappella sconsacrata del vecchio ospedale stava per diventare la Sala “Primo Levi”, destinata ad uso culturale: una scelta  che meritava attenzione, festa, dedizione, orgoglio civile.

Lino Marzulli

Ne scaturì il progetto di onorare l’evento con il semplice e antico gesto di offrire quello che si ha: in questo caso il mestiere dell’arte, la fantasia delle idee, la gioia di creare e donare, per celebrare il senso di una comunità che si da uno spazio di condivisione del bello, del pensiero, del sentimento, della riflessione, della contemplazione…  Le idee crebbero e si svilupparono nel corso di due interi mesi,  novembre e dicembre 1975, con lunghe e accese discussioni, ma con un intento preciso condiviso da tutti: esprimere un significato chiaro, semplice e ben comprensibile.

Prima dell’intervento vero e proprio furono eseguiti all’incirca 50 bozzetti, poi si passò al lavoro su muro tra gennaio e marzo 1976, in un freddo cane, a molti metri da terra, si lavorava fino a  ora tarda, sui ponteggi offerti generosamente da un concittadino, Mauri Zaverio. In particolare voglio ricordare che l’ultimo bozzetto lo fece Vitale Petrus, che quasi profeticamente rappresentò il buio della malattia: il 1976 fu l’ anno della diossina, e si cominciò ad aprire gli occhi sull’avvelenamento del mondo…. Sul merito delle opere scrisse il critico d’arte Giorgio Seveso, che le recensì con grande piacere:

“Il tema dei dipinti si muove in un ambito poetico di precisa allusività. Al centro il soffitto porta una dimensione d’atmosfera lirica e sognante, in cui Marzulli, coadiuvato da Giambelli,  ha disteso tracce e segni a richiamare la complessa sostanza dell’uomo, la contraddittorietà problematica delle sue aspirazioni. Da quel punto si precisano i due poli dialettici di questa dilatata e indefinita allegoria: il giorno e la notte dell’umanità.

A destra le incalzanti immagini di Petrus testimoniano il male, il passato tenebroso, la superstizione, i simboli mostruosi che ci guardano dalla notte della ragione. La precedente destinazione di quei luoghi – nel passato un grande ospedale- stabilisce qui un inquietante rapporto con queste figure di dolore e di angoscia.

A sinistra Chiusa ha invece evocato i valori e le aspirazioni positive dell’uomo, l’attiva concretezza dei suoi strumenti di lavoro, la serena e vitalistica adesione della razionalità alla natura, che riporta luce nell’oscurità sempre in agguato. Si vedano, infatti, le immagini dei giovinetti che, nella parte sinistra del suo dipinto, generosamente forzano l’ingresso ai raggi del sole”

Conservo un ricordo indimenticabile degli amici di quella bella avventura, oggi scomparsi, e desidero dedicare loro un pensiero grato e affettuoso: Emilio Chiusa, Lino Marzulli, e Vitale Petrus, che con tanta generosità ed entusiasmo hanno reso possibile tale lavoro.

Ed infine non posso non ricordare con rispetto e gratitudine il Sindaco di allora, Ilvano Desiderati, attraverso le sue stesse parole dette nel giorno dell’inaugurazione, che oggi purtroppo suonano come un monito:

“…….Se è vero, come è vero, che la partecipazione di tutti i cittadini alla vita civile e culturale del Paese costituisce la base e la sostanza stesse della democrazia, allora possiamo affermare di aver contribuito anche in questa occasione, sia pure minimamente, alla crescita civile della nostra comunità”

                                                                                                                       

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