Remember to look up at the stars and not down at your feet… And however difficult life may seem, there is always something you can do, and succeed at. (Stephen Hawking)
Il 14 Marzo scorso, all’età di 76 anni, è scomparso il celebre astrofisico e cosmologo britannico Stephen Hawking noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo. Lo scienziato è diventato famoso anche a causa dell’immobilità a cui fu soggetto, per la malattia che lo colpì, probabilmente una forma a lenta progressione di sclerosi laterale amiotrofica (la malattia del motoneurone), diagnosticatagli già nel 1963.
Hawking probabilmente non sarebbe quello che è diventato dopo se accanto a lui, per decenni, non ci fosse stata la sua prima moglie Jane Wilde, che l’ha sospinto oltre la malattia aiutandolo ad essere e a vivere a prescindere da essa. Poco più che ventenne gli vennero diagnosticati due anni di vita: Stephen e Jane, insieme, sono andati ben oltre quel limite. A Hawking dobbiamo lo sviluppo dell’affascinante concetto di singolarità, che prende le mosse proprio da quanto detto sulla relatività da parte di Einstein.
Che cosa significa singolarità? Si intende un punto dello spazio-tempo in cui il campo gravitazionale (materia ed energia) ha un valore che tende all’infinito. Ma c’è di più: secondo una nota teoria dello scienziato inglese, l’Universo ha avuto origine proprio da una singolarità. Secondo questa teoria, il verificarsi delle condizioni di singolarità rendono la relatività generale non più valida. Ma non è tutto: la singolarità è anche centro essenziale di un altro grande oggetto di speculazione teorica elaborato a suo tempo da Einstein, ovvero i buchi neri quelle zone dello spazio-tempo il cui campo gravitazionale è così forte che non permette a nulla di uscire, neppure alla luce con la sua proverbiale velocità: insomma, qualunque cosa superi il cosiddetto orizzonte degli eventi del buco nero, non ne esce più (l’orizzonte degli eventi è la superficie limite oltre la quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno).
La teoria vuole chei buchi neri abbiano origine dal collasso gravitazionale che avviene ad una stella quando muore, fenomeno che non si verifica spesso ma che non è neppure particolarmente raro: è opinione comune che esista, tanto per fare un esempio, un buco nero con una massa più grande di circa mille miliardi di volte quella del Sole, più o meno al centro della Via Lattea. I buchi neri si studiano osservando cosa succede letteralmente intorno ad esso, nelle vicinanze del loro orizzonte degli eventi.
Hawking ha dunque perseguito la strada della teoria per affrontare e studiare questi fenomeni, e in particolare per giustificarne l’esistenza sulla base delle leggi della fisica. Il cosmologo inglese ha elaborato diverse previsioni, una delle quali consiste nell’idea che un buco nero possa evaporare: un concetto noto come radiazione di Hawking, basata sul fatto che nel vuoto viaggiano particelle e antiparticelle a coppie, che nascono e muoiono in un lampo assieme, può capitare che soltanto una delle due componenti vada a finire oltre l’orizzonte degli eventi e venga risucchiata, impedendo quindi il “naturale” corso delle cose (la distruzione finale della coppia). Queste (anti)particelle finiscono per consumare, ovviamente in tempi molto lunghi, la massa del buco nero, che dopo qualche miliardo di anni può sparire dall’Universo, con un’esplosione.
Lungi dal descrivere in questo articolo tutta la grandezza dei molteplici contributi di Hawking, concludo con un cenno alla cosiddetta teoria del tutto, ”theory of everything”, una ipotetica teoria fisica che sarebbe in grado di spiegare interamente e di riunire in un unico quadro tutti i fenomeni fisici conosciuti. Ci sono state molte “teorie del tutto” proposte dai fisici teorici nell’ultimo secolo, ma nessuna è stata confermata sperimentalmente. Il problema principale nel produrre una tale teoria è che le due teorie fisiche fondamentali accettate della fisica moderna, la meccanica quantistica e la relatività generale, sono attualmente inconciliabili. Solo una “teoria del tutto”, infatti, consentirebbe di rispondere alla vera ultima questione: perché esiste l’Universo?
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