di Marco Riboldi
Come è noto ero candidato al Senato della Repubblica per il PD. Al proporzionale N.3. Non ci sono dubbi: il mio partito ha perso le elezioni e, ancor peggio, gli altri hanno proprio vinto, con un margine largo. Provo a riflettere su alcune questioni che a caldo mi sembrano rilevanti.
1- Il Partito Demoratico non è riuscito a porsi alla testa di una concentrazione progressista chiaramente identificabile e riconoscibile. La decisione del Movimento 5 Stelle di non votare la fiducia al presidente Draghi ha spinto a non accettare alcuna ipotesi di alleanza con gli uomini di Conte, mentre le incomprensioni con Calenda hanno prodotto anche la fattura con il Terzo Polo. Abbiamo pagato duramente tutto questo: e non credo che lo si possa imputare al solo Letta, visto che mi risulta che la strategia fosse, nel partito, ampiamente condivisa. Inoltre, la vicenda di Calenda mi pare sottratta ad ogni possibilità di intervento da parte del Partito Democratico: mi è sembrata una decisione unilaterale ed irrevocabile, che ha prodotto un grosso danno.
Adesso ci aspetta una non facile “traversata del deserto”: il Partito Democratico deve attrezzarsi per tornare a parlare ai ceti medi e medio bassi, che non trovano più risposte adeguate nella linea politica del P.D. e che sono facilmente conquistati da proposte populiste.
Si deve costruire una politica in grado di rispondere alle domande e ai bisogni che evidentemente non sono stati intercettati dai progressisti, domandandosi con serietà perchè gli elettori scelgano risposte sbagliate ( noi le giudichiamo così, evidentemente).
Non sarà un lavoro semplice: la classe dirigente democratica ha davanti a sè una grossa sfida, da affrontare con serenità e severità.
Si tratterà di cambiare linguaggio, contenuti, toni ed atteggiamenti. Personalmente ritengo che le capacità ci siano, le forze nuove anche e che non manchi neppure qualche buon maestro che può aiutare ( penso per esempio a Bersani, che mi sembra molto lucido nei suoi ragionamenti e che ha scelto la strada di collaborare senza entrare nelle istituzioni). Certo servirà molta pazienza, soprattutto sul delicato tema delle alleanze.
2 -Marginalmente, vorrei far notare che oggi si fa un gran parlare del successo del partito di Conte e della sconfitta del P.D.. I numeri però dicono che il P.D. – sicuramente sconfitto – ha mantenuto sostanzialmente la percentuale del 2018 (ma in termini assoluti, visto il calo dei votanti, ha perso 800.000 voti), mentre il soddisfatto Conte ha perso per strada metà dei consensi in percentuale, pari a circa 6 milioni di voti: un’altra vittoria così e il Movimento 5 stelle scompare. Il cosiddetto Terzo polo (Azione e Italia Viva) ha sostanzialmente sottratto voti più al centrosinistra che alle destre.
3 -A fronte di questo, la destra ha saputo presentarsi unita nonostante le evidenti differenze, prima fra tutte la diversa collocazione nei tre governi succedutesi durante la legislatura. Questa compattezza elettorale della destra è risultata premiante, soprattutto perchè ovviamente nei collegi uninominali, dove basta un voto in più dell’avversario per vincere, una coalizione difficilmente può perdere se gli avversari si dividono. Che poi l’unità sia più di facciata che di sostanza mi pare sospetto legittimo: la competizione interna sia alla coalizione di destra, sia ai due partiti alleati potrebbe innestare dinamiche imprevedibili.
Il partito di Giorgia Meloni ha trainato tutta la destra, aumentando i suoi consensi di circa 6 milioni di voti rispetto al 2018 (mentre Lega e Forza Italia perdono complessivamente 5,5 milioni di voti circa: pare insomma che ci sia stata una distribuzione di voti all’interno della destra e l’acquisizione di molti voti ex 5 Stelle ).
Merito certo di una posizione chiara e univoca, coerente per cinque anni (anche se la posizione di unica opposizione è un vantaggio enorme).
Onore al merito, indubbiamente: forse l’unico punto debole sta nella spartizione dei seggi con gli alleati, che hanno un numero di parlamentari decisamente superiore ai loro voti, avendo lucrato sui consensi di Meloni che finivano anche ai partiti vicini. Di fatto, Fratelli d’Italia non può fare a meno di Lega e Forza Italia, pena la perdita della maggioranza parlamentare. Il che espone il partito vincitore alle pretese degli alleati: non è cosa da poco, soprattutto considerando chi sono questi alleati.
4 -Su Fratelli d’Italia mi preme esprimere un’opinione che tocca un tema delicato e facilmente equivocabile. Me ne sono reso conto parlando in Consiglio Comunale, dove sono stato male interpretato ( o forse, più probabilmente non mi sono spiegato bene). Sto ovviamente parlando del “post fascismo” di Fratelli d’Italia.
Io dico in merito tre cose.
Innanzitutto la mia contrarietà al partito di Giorgia Meloni non ha bisogno della spiegazione antifascista: a me Fratelli d’Italia non piace perchè non mi piace la sua proposta politica, il suo atteggiamento nei confronti dell’Unione Europea, il suo nazionalismo sovranista, il suo programma conservatore, se non reazionario.
Inoltre io non credo attuale un pericolo fascista: ma pensiamo davvero che la nostra nazione, che ha saputo battere terrorismo e stragismo, non sarebbe capace di reagire a improbabili pulsioni dittatoriali? Quand’anche ammettessimo un’ipotesi del genere (questa è la frase che in consiglio non sono riuscito a sottolineare a sufficienza: “quand’anche ammettessimo” è una espressione ipotetica) saremmo ben pessimisti a non immaginare una efficace risposta dello stato democratico e dei suoi cittadini.
Certo, probabilmente nei dintorni di Fratelli d’Italia ci sono segmenti di nostalgici che si salutano con il braccio teso: sarà compito di Giorgia Meloni impedire che ottengano che il partito soddisfi i loro desideri.
E’ successo anche a sinistra: chi strizzava l’occhio alla Brigate Rosse è stato isolato ed emarginato ( anche a pagando un prezzo in vite umane) anche se “faceva parte dell’album di famiglia” come efficacemente disse Rossana Rossanda.
Infine, stiamo parlando di un partito che prende il voto di un italiano su quattro: se dovessi pensare che ci sono tanti fascisti in Italia dovrei pensare seriamente all’espatrio.
Invece, fortunatamente, dal 26 settembre posso pensare a come vincere le prossime elezioni.
Non distraetevi. Le campagne elettorali non finiscono mai.