di Daniela Annaro
Le sue opere sono immediatamente riconoscibili e a lui attribuibili. Ci appaiono semplici, tratte dai fumetti o direttamente dalla pubblicità dei prodotti. Riconoscibili e, forse per questo, disturbanti.
Pin-up piangenti, invitanti hot dogs, comics estrapolati dal contesto complessivo. Immagini del mondo reale soprattutto nell’America degli anni Sessanta, l’America raccontata da Roy Lichtenstein (New York 1923-1997), uno dei padri della Pop Art. Ottanta opere sue, ma anche di altri artisti di quella stagione (Warhol, Rosenquist, Robert Indiana) sono esposte alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma, fino al 9 dicembre, a cura di Walter Guadagnini e Stefano Roffi.
Immagini apparentemente semplici e fruibili, ma in realtà – ed è questo il fascino – estremamente complesse, frutto di analisi sulla percezione visiva, di studi sulla storia dei grandi pittori europei, di riflessioni sociali e politiche, il tutto con un tocco di humour e ironia.
Quando Lichtenstein approda alla Pop Art, nei primi anni Sessanta, proveniva dall’espressionismo astratto, era un insegnante di storia dell’arte. Si era occupato di grafica e di scultura e durante la seconda guerra mondiale aveva visto e ammirato i lavori dei maestri europei – diceva che la sua opera preferita era Guernica di Picasso-.
E, soprattutto, rispetto agli allora emergenti artisti quali Rauschenberg e lo stesso Warhol, aveva dieci anni in più. Insomma, un bagaglio molto sostanzioso di esperienze di vita ed estetiche. E’ questa consapevolezza e maturità che , come sostiene uno dei due curatori della mostra Walter Guadagnini, grande esperto di Pop Art:
…dall’emersione di una lucida presa di coscienza sul fatto che la pittura deve misurarsi con le immagini del mondo, ingaggiando con esse un confronto serrato, che non tema di affrontare anche le discese nei territori che abitualmente vengono rifuggiti per ragioni ideologiche.
E, che cosa c’è di più comune della struttura di un fumetto? Lo ammetteva lo stesso Lichtenstein. Lui, però, ha compiuto un’operazione laboriosa: elimina la matericità pittorica e si appropria dei punti Ben-Day, il minuscolo disegno retinato meccanico usato nell’incisione in pubblicità, per dare la sensazione di spessore e di sfumature cromatiche. Un tratto che diventerà distintivo dell’artista di New York e, più in generale, della Pop Art.