di Francesca Radaelli
Il 26 giugno del 1908 nacque a Valparaiso in Cile Salvador Allende, presidente della nazione cilena dal 1970 al 1973, anno in cui venne destituito dal colpo di stato militare del generale Augusto Pinochet, che instaurò una dittatura nel Paese.Allende, che esercitò la professione di medico e figura tra fondatori del partito socialista cileno, fu il primo presidente marxista ad essere democraticamente eletto in un paese dell’America Latina. Rappresentò una speranza per le classi più povere della sua terra, rappresentò una via diversa al socialismo, che passava attraverso riforme costituzionali e che mai era stata tentata in Sudamerica, ma rappresentò soprattutto un esempio di grande coerenza e integrità morale. Soprannominato dal “suo” popolo “compañero presidente”, non rinnegherà mai le proprie idee, accettando di andare incontro a una morte tragica.
La sua proposta politica si basava su un programma umanitario di riscatto dei contadini e dei lavoratori più umili, aveva come obiettivo rendere il Cile governato dai grandi latifondisti e dalle potenze straniere una società senza classi e senza sfruttamento. Il sogno era dare al popolo il potere politico ed economico in modo non violento, abbracciando un modello di azione differente rispetto a quello che avevano seguito, per esempio, nel corso della rivoluzione cubana, Fidel Castro e Che Guevara, personaggi a cui Allende era pure legato da stima e amicizia. Già da ministro della Sanità nel 1939 aveva avviato una serie di riforme volte a costituire un servizio sanitario pubblico, con lo scopo di rendere la salute un diritto di tutti, ricchi e poveri. Poi, dopo aver vinto le elezioni del 1970 a capo della coalizione Unidad Popular, intraprese la nazionalizzazione delle miniere di rame del paese e la riforma agraria. L’obiettivo era abbattere ogni privilegio della borghesia, ogni struttura capitalistica presente nel paese, per far trionfare la giustizia sociale.
Il sogno di Allende però era destinato a rimanere tale e il suo progetto politico ad andare incontro a un tragico fallimento. Il Cile attraversava infatti una forte crisi economica, causata dalla dipendenza economica del paese dai capitali stranieri, quelli degli Stati Uniti in primis, che finanziavano l’oligarchia locale e controllavano di fatto le risorse minerarie. E proprio gli Americani non potevano tollerare il programma politico rivoluzionario del “compañero presidente”: è ormai assodato che furono i servizi segreti a dare il via libera al golpe dei militari di Pinochet. Il paese era nel caos per l’inflazione alle stelle e gli scioperi continui, quando l’11 settembre 1973 l’esercito attaccò Santiago e pose sotto assedio il palazzo presidenziale della Moneda.
Allende, asserragliato all’interno con la sua guardia di sicurezza, diffuse per radio un ultimo drammatico discorso alla nazione:
“Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”.
Poi si tolse la vita, sparandosi con un fucile che gli era stato regalato da Fidel Castro. E rimanendo per sempre, al di là del giudizio che si può dare sul suo operato politico, un esempio di estrema coerenza e vicinanza al ‘suo’ popolo.
Francesca Radaelli