Il gruppo affiatato della redazione Scaccomatto si trova per discutere di obiettivi, argomenti, interviste, progetti per la ripresa di settembre. Memori della visita alla mostra, così coinvolgente, del celebre fotografo Giovanni Gastel “Le 100 facce della musica italiana” ospitata a Villa Reale di Monza, riflettiamo sull’importanza dell’immagine quale strumento di comunicazione immediata, e talvolta più incisivo ed espressivo della parola stessa.
Insieme a noi, in redazione, c’è il fotografo Marco Erba che tiene una una lezione sul fotogiornalismo. Egli esordisce affermando di essere molto timido, e quindi mi stupisco immediatamente dinnanzi al suo modo di parlare, così appassionato, incalzante e coinvolgente.
Mi emoziono subito quando racconta lo scaturire improvviso dell’amore per la fotografia: ci racconta di essersi invaghito di una ragazza che, come lui, frequentava l’Accademia di Belle Arti di Brera e desiderava farle una ritratto su pellicola. Colto dalla timidezza, manda in “avanscoperta” un amico, che le chiede con naturalezza: “Possiamo farti una foto?”. E mentre l’immagine, immersa nell’acido di sviluppo, inizia pian piano a prendere forma, Marco, estasiato, comprende il suo destino: diventare un fotografo.
Mi ha affascinato molto anche quando ci ha mostrato esemplari di macchine fotografiche in suo possesso, portate appositamente per l’occasione (una degli anni anni ‘30, una seconda degli anni ‘60, e infine le sue macchine attuali di lavoro). Le successive evoluzioni sono il digitale, sul finire degli anni ‘90, in concomitanza con la rivoluzione di Internet, che oltre a fornire la certezza del risultato rende la fotografia immediatamente disponibile, e infine il cellulare, che consente addirittura di mandare foto ovunque e a chiunque in tempo reale.
Oggi, infatti, la fotografia non deve essere solo bella e comunicativa, ma anche “velocissima”.
Questo ci fa capire come l’evoluzione della tecnica nella storia abbia influito notevolmente sul linguaggio fotografico, perché ha permesso una condizione essenziale del fotogiornalismo: “cogliere l’attimo giusto, nel modo giusto, al momento giusto”. Caratteristica specifica di quest’ultima è infatti di riuscire a prendere una frazione di realtà e renderla eterna. In sostanza, la fotografia si è evoluta perché sono cambiate le macchine fotografiche.
La disciplina nasce nell’800 e diviene il linguaggio più significativo dal 20esimo secolo fino ai giorni nostri, a dire di Marco, perché informazione e comunicazione universale, immediata ed incisiva. All’epoca la fotografia imitava la pittura, utilizzando personaggi e sfondi, con la differenza di essere più realistica di quest’ultima (ad esempio Nadar). All’inizio gli apparecchi utilizzati erano di enormi dimensioni, trasportati su carri contenenti la camera oscura (e per questo motivo il mestiere di fotografo era anche pericoloso).
Ed ecco che i grandi produttori (Kodak “in primis”), cercano di rendere le macchine più semplici possibili, così che già negli anni ‘30 il fotografo riesce ad andare ovunque con una strumentazione che è divenuta istantanea. Sono Stati Oskar Barnack ed Ernst Leitz negli anni ‘10, a permettere questa rivoluzione, inventando una macchina, la “Leica”, che diviene la più utilizzata negli anni ‘50. Henry Cartier Bresson, il più grande fotografo della storia, grazie a questo apparecchio riesce effettivamente a “cogliere l’attimo”. Poi Marco accenna ad un fotografo “bizzarro”, Eric Salomon (anni ‘20), nonché primo paparazzo della storia, e per questo soprannominato: “Et voilà, le roi des indiscrets”. Egli nasconde la macchina fotografica nella giacca, il cavo di scatto nella tasca, intrufolandosi negli eventi non accessibili alla stampa e scattando foto di nascosto, senza che nessuno se ne accorga (basti pensare all’immagine del Primo Ministro tedesco in Francia, durante la firma di un importante trattato).
Bisogna infatti ricordare che il diritto alla privacy esiste finché non sopraggiunge il diritto di cronaca.
E poi c’è l’esempio eclatante di due fotografi di Dallas degli anni ‘60 (epoca dell’omicidio del presidente Kennedy), Bob Jackson, del quotidiano serale “Dallas Herald Tribune” e Jack Beers, del più prestigoso “Dallas Morning News”, che fotografano la stessa scena dell’assassino di Kennedy scortato dalla Polizia, con la distanza temporale di un battito di ciglia: 6 centesimi di secondo. Ed ecco Bob Jackson vincere il Premio Pulitzer.
Nel 1959 la tecnologia evolve ulteriormente e subentra una nuova macchina fotografica, la “Nikon F”, che consente la nascita del fotogiornalismo moderno, fino ad arrivare agli anni ‘70, con l’invenzione dello zoom e la possibilità di scattare 10 foto al secondo.
Marco Erba ci parla anche di Steve Mccurry, celebre per il famosissimo ritratto della “Donna Afghana”, svelandoci il suo massiccio utilizzo del programma informatico “Photoshop”, Questo differenzia il fotogiornalismo dallo “storytelling”. Mccurry non è infatti giornalista quanto romanziere, tanto è vero che il “World Press Photo”, più importante premio fotografico, esige quello che si chiama tecnicamente “File Raw”, proprio per verificare che l’immagine originale non sia stata modificata attraverso Photoshop.
Infine Marco termina la lezione ribaltando, con sorpresa, due mie radicate convinzioni: in primo luogo il fotografo non può dare ampio sfogo alla propria creatività, perché, essendo un professionista, deve scattare ciò che richiede il committente, che non è di certo interessato all’arte quanto all’affidabilità. In seconda istanza ha sfatato la mia certezza che le foto in bianco e nero siano più artistiche e creative di quelle a colori. In realtà il bianco e nero è più usato nei reportage, che esigono immagini crude, fredde e astratte. Le foto in bianco e nero rimangono però a mio parere più affascinanti e suggestive.
Dopo questa intensa e interessantissima lezione, tanto che il tempo è “volato” senza che me ne accorgessi, Marco ci congeda con la promessa di un incontro ”sul posto”, per farci sperimentare in prima persona il fotogiornalismo, così da consentire di arricchire i nostri articoli con immagini, come da obiettivo prefissato.
PS: Marco Erba, su richiesta, mostra alcuni dei suoi lavori: desidero sinceramente congratularmi per il suo grande talento.
Monica