di Chiara De Carli
I Selton suoneranno sabato 19 novembre, al Tambourine di Seregno. Il quartetto folk brasileiro, che ormai da qualche anno ha messo radici a Milano, sarà protagonista della serata in via Tenca. Porteranno con sé, la loro storia, l’insieme di sound ottenuto dalle influenze raccolte tra le strade del Brasile, la loro casa, della Spagna e anche un po’ dell’Italia. Il punto di svolta? È avvenuto quando per caso si sono ritrovati nella città di Barcellona e Daniel (percussioni), Eduardo (basso), Ramiro (chitarra e ukulele) e Ricardo (chitarra), hanno deciso di iniziare a suonare, per le vie della città spagnola. Ora i Selton sono in tour, per la promozione del loro ultimo lavoro “Loreto Paradiso“, da cui è stato tratto il singolo: “Voglia di infinito”.
Ramiro mi racconta, all’inizio dell’intervista, che sono da poco sono tornati da un week end sardo, in cui hanno suonato per due date (4-5 novembre, ndr). Ripensando al passato commenta che «è incredibile pensare a tutta la strada compiuta, in questi anni».
Che ricordi hai del Parco Güell?
«Questi sono associati a un periodo molto importante e intenso. Noi quattro ci conosciamo fin da ragazzini e il destino ha voluto ci ritrovassimo nuovamente a Barcellona. Abbiamo iniziato a suonare per “tirare a campare” proprio al Parco Guel, luogo che sarebbe diventato il nostro posto di lavoro. Ci andavamo tutti i giorni. È proprio lì, in uno dei parchi più turistici della terra che abbiamo iniziato a intonare insieme le prime note e a diventare quindi una band. Era meraviglioso: ogni giorno era come se il mondo intero ci passasse davanti».
E poi, cosa è successo?
«Accadevano molti fatti assurdi. Tra i tanti, un giorno del 2006, siamo stati notati dalla produzione del programma “Italo Spagnolo”, registrato a Barcellona per MTV Italia. Lo conduceva Fabio Volo. Ci hanno invitato a una puntata e lì è nata una passione reciproca, che ci ha fatto ritornare per una messa in onda successiva. Il produttore musicale, Gaetano Cappa, ci ha chiesto poi di andare a Milano, per registrare con loro. In questo periodo abbiamo iniziato ad ascoltare la musica italiana e lì è stato Enzo Jannacci a colpirci».
Perché proprio Jannacci?
«Abbiamo ritrovato in lui delle caratteristiche che ci appartengono: forse l’ironia, molto presente nella musica brasiliana. È stato come se avessimo incontrato, dall’altra parte del mondo, un po’ di Brasile. Traducevamo i suoi pezzi e dall’innamoramento per la sua musica è nato il disco “Banana à Milanesa”(2008)».
Che effetto fa passare da essere un artista di strada a essere un artista che suona su un palco?
«Essenzialmente sono la stessa cosa, perché il tuo obiettivo è sempre catturare l’attenzione del pubblico. Tuttavia, all’atto pratico, sono due modi di fare musica differenti. Suonando per strada, chi si ferma, lo fa perché vuole dedicarti un po’ del suo tempo, perché rimane colpito dalla tua musica. Mentre, quando hai come scopo una carriera artistica, devi offrire alla gente un prodotto più solido, in modo da accrescere il desiderio di venirti sentire. Del suonare per strada ci piaceva la spontaneità, del suonare sul palco le emozioni che si vivono».
Come si possono cantare dei temi piuttosto impegnativi con allegria?
«La nostra natura ci porta a fare musica solare. Tuttavia, crescendo aumenta anche lo spessore dei contenuti, che vanno a contrastare il nostro spirito. Ci piace questa caratteristica».
Ora siete in tour, che musica ascoltate nei vostri spostamenti?
«I Beatles non mancano mai in furgone, però siamo anche molto attenti alle novità della musica contemporanea. Ultimamente, stiamo sentendo l’ultimo lavoro di Anderson Paak, un rapper americano, i Dirty Projectors e altri..»
Che piatto abbineresti alla canzone “Loreto Paradiso”?
«È una canzone che mi evoca tanti colori, quindi mi viene in mente una fagiolata: al centro c’è una zuppiera con i fagioli e tutto attorno ci sono altre pietanze. Ognuno è libero di comporre il proprio piatto come preferisce. Alla fine ne ottieni uno molto colorato, che ti dona felicità. “Loreto Paradiso” consiste un po’ in questo: è un pezzo che mescola influenze, lingue, loop, è come un collage musicale».