di Francesca Radaelli
“Da cosa scappano i siriani che vengono in Europa?”. Shady Hamadi ripete tra sé la domanda, osservando pensieroso l’uditorio, come incredulo. Nato 27 anni fa a Milano da madre italiana e padre siriano, lo scrittore, attivista e blogger, lo scorso 9 ottobre era a Libritudine, la manifestazione organizzata dalla biblioteca e dal comune di Lissone.
L’occasione è la presentazione di ‘La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana’. Il libro pubblicato due anni fa per ADD Editore, con prefazione di Dario Fo e patrocinio di Amnesty International, vuole essere soprattutto una testimonianza, un tentativo di smuovere le coscienze attraverso la letteratura. Di raccontare attraverso la storia di una famiglia il dramma che il popolo siriano sta vivendo ormai da 40 anni. Un dramma in gran parte sconosciuto in Europa.
Perché è vero, dei migranti che arrivano chiedendo lo stato di rifugiati spesso sappiamo poco o nulla. Certo sappiamo che in Siria c’è la guerra, c’è l’Isis, c’è Assad. Arrivano le notizie dei bombardamenti, le parole di Putin, Obama e gli altri capi di stato. È arrivata la notizia della decapitazione dell’archeologo Khaled Asaad, sono arrivate le immagini della distruzione di Palmira. “Ma sui giornali italiani non si parla mai della situazione complessiva della Siria, nessuno conosce davvero il passato, la cultura, la storia di questo paese”, dice Shady. E allora è lui, figlio di un rifugiato politico, che prova a spiegare cosa rappresentino davvero per i siriani – quelli che scappano in Europa e quelli che tentano di resistere in Siria – il regime di Assad, l’Islam, la città di Palmira, la primavera araba.
La religione

“Si parla tanto di Isis e di fondamentalismo islamico. Paradossalmente proprio sotto il regime ‘laico’ di Assad si è accentuato il processo di confessionalizzazione, sempre più giovani sono attratti dall’integralismo. Ma l’identità storica dell’Islam in Siria non è questa, l’Islam siriano è dialogante, la nostra è una storia di convivialità fra le fedi, di sincretismo religioso, ed è una storia che deve essere valorizzata e preservata. Personalmente mi definisco un musulmano innamorato di Gesù, come padre Paolo Dall’Oglio si è dichiarato ‘innamorato dell’Islam, credente in Cristo’. Per realizzare la pace in Siria occorre coinvolgere le comunità religiose più aperte al dialogo, piuttosto che metterle a tacere o assimilarle ai fondamentalisti”.
Palmira
“L’Isis sta distruggendo i monumenti archeologici dell’antica Palmira e questo crea scandalo in Europa. L’archeologo Khaled Asaad è stato brutalmente decapitato suscitando orrore in occidente. Una reazione, questa, che i siriani ancora faticano a capire. Dimentichiamo che dal 2011 a oggi in Siria sono morte 350mila persone, ammazzate per lo più sotto le bombe del regime di Assad? Vite spezzate che non fanno notizia. Non tutti sanno che proprio vicino ai bellissimi resti di Palmira c’era il carcere ribattezzato ‘prigione della morte’ dove sin dai tempi di Assad padre sono stati rinchiusi i prigionieri politici. Ora non resta più nulla. L’Isis ha distrutto anche questa testimonianza che avrebbe potuto mettere a nudo tutti gli abusi compiuti dalla dittatura di Assad”.
La Primavera araba

“Molti, nel mondo occidentale, sostengono che non ci sia alternativa ai regimi autoritari in Siria come in Egitto, che la cosiddetta Primavera araba abbia fallito e che l’avvento dei fondamentalisti dell’Isis ne sia la prova. Nel 2011 in Siria, all’inizio delle proteste della Primavera araba, Assad ha voluto liberare i fondamentalisti islamici detenuti nelle carceri, lasciandovi invece intellettuali dissidenti. Il fondamentalismo ‘conviene’ ai regimi autoritari che si dichiarano laici. Ma una terza via esiste e va sostenuta. Anche in Siria ci sono tanti giovani della società civile che stanno costruendo laboratori di dialogo, promuovendo iniziative nelle università per esempio. La Primavera araba potrebbe durare anni, perché è vero che la società araba è ‘indietro’, che il processo di emancipazione ha bisogno di tempo. Ma sostenere i regimi autoritari non è la soluzione per stare davvero dalla parte dei siriani”.
L’appello ai lettori
“Perché ho scritto questo libro? Perché il lettore è più importante dello scrittore. Sono i lettori che possono davvero cambiare qualcosa, diffondere la conoscenza di ciò che sta accadendo in Siria e costruire, anche in occidente, quella che mi piace definire ‘indignazione di massa’. Ossia un movimento di opinione che abbatta ogni muro di indifferenza rispetto a quanto sta succedendo nel paese da cui provengono i tanti disperati che bussano alle nostre porte”. Perché in fondo un libro può fare anche questo.
Francesca Radaelli
© Fotografie di Giovanna Monguzzi