di Francesca Radaelli
“Spetta alla donna di rivendicare se stessa, ch’ella sola può rivelar l’essenza vera della propria psiche, composta, sì, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, di dignità umana”.
Sono parole scritte da una vera femminista, Sibilla Aleramo, poetessa, scrittrice e giornalista morta il 13 gennaio 1960 a Roma, dopo aver trascorso in povertà gli ultimi anni di una vita intensa e intrisa di incontri e passioni. La prima parte di questa vita romantica e appassionata è raccontata proprio nel romanzo da cui sono tratte queste parole, che rappresenta il primo grande successo della scrittrice.
Il titolo è ‘Una donna’, esce nel 1906 e racconta la prima giovinezza di Sibilla, che si chiamava in realtà Rina Faccio era nata ad Alessandria nel 1876 e a soli 15 anni fu costretta a sposare un collega di lavoro, da cui presto ebbe un figlio. Un matrimonio infelice, reso ancora più difficile dalla gelosia del marito e dalla presenza del bambino, cui a un certo punto la donna decide di porre fine, abbandonando il tetto coniugale (figlio compreso) e rivendicando il diritto a costruirsi una vita in completa libertà. Già aveva iniziato a collaborare con una rivista femminile, ora comincia a frequentare personalità di spicco del mondo letterario.
Uomini – ma anche qualche donna – con cui intreccia amori spesso tempestosi e violenti. Perché Sibilla, non era solo ‘femminista’ ma anche una ‘femme fatale’ in piena regola (‘Amo dunque sono’ è il titolo di un altro suo libro), che vanta tra i propri amanti letterati come Vincenzo Cardarelli, Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Julius Evola, Clemente Rebora, Salvatore Quasimodo e le cui storie d’amore sono documentate nelle tantissime lettere infervorate che ci ha lasciato.
Forse l’amore più tormentato fu quello con Dino Campana, una relazione appassionata ma anche violenta. Rimasta folgorata dalla lettura dei Canti Orfici, Sibilla si reca sino a Marradi, paesino dell’Appennino tosco-emiliano in cui abita il poeta, più giovane di lei di 10 anni, per conoscerlo di persona.
Tra i due esplode la passione, ma nel frattempo lei frequenta anche altri uomini, mentre in lui peggiora la malattia psichica che lo porterà a trascorrere gli ultimi anni in manicomio. Alla fine Sibilla pone fine alla relazione, ma pubblicherà i loro scambi di lettere, con l’eloquente titolo ‘Un viaggio chiamato amore’ (da cui il film del 2002).
Ma Sibilla, da donna emancipata quale è, decide anche di impegnarsi in prima persona nella lotta contro l’analfabetismo e, dopo il trasferimento a Roma, avvia insieme a Giovanni Cena il progetto che vede la fondazione delle cosiddette ‘scuole dell’Agro Pontino’.
Indipendente e anticonformista, ma romantica e appassionata. Fervente comunista dopo la seconda guerra mondiale, ma con un passato da sostenitrice del fascismo. Ricca di amici importanti, accusata da molti di opportunismo, ma morta in povertà.
Forse, semplicemente e ancora una volta, ‘una donna’. Che non ha avuto paura di raccontare se stessa, fino in fondo.