di Francesca Radaelli
Intervista a Nicoletta Robello Bracciforti, in scena con Alessandro Haber e Alessio Boni ne ‘Il visitatore’. La commedia in cartellone dal 19 al 22 novembre al Teatro Manzoni di Monza.
È un visitatore decisamente particolare quello che appare all’improvviso nella casa dell’anziano Sigmund Freud, mentre Vienna è invasa dai nazisti. E la conversazione che ha inizio tra i due toccherà temi profondi e filosofici, con effetti comici ed esilaranti.
Da giovedì 19 a domenica 22 novembre al Teatro Manzoni di Monza va in scena ‘Il visitatore’, con Alessandro Haber, Alessio Boni, Nicoletta Robello e Alessandro Tedeschi, per la regia di Valerio Binasco.
Lo spettacolo è tratto dal testo scritto nel 1993 dal belga Eric-Emmanuel Schmitt, e da tre anni ormai la Goldenart Production lo sta portando in tournée nei teatri italiani, collezionando applausi e riscuotendo un successo di proporzioni inaspettate.
In attesa di vederla in scena, abbiamo parlato dello spettacolo con Nicoletta Robello Bracciforti, che nella pièce veste i panni della figlia di Freud, Anna, e ha collaborato alla realizzazione dello spettacolo come assistente regista.
Di che cosa parla ‘Il visitatore’?
Il testo di Schmitt si basa su un’idea di fondo meravigliosa. Racconta dell’incontro tra Sigmund Freud, forse il più grande ateo di tutti i tempi, e un personaggio che parrebbe essere Dio in persona. Siamo nel 1938, il padre della psicanalisi è molto vecchio, provato, morirà un anno dopo. La commedia è ambientata nello studio-appartamento in cui vive con la figlia Anna, a Vienna. Di sotto, ci sono i nazisti, siamo in piena Anschluss.
Un momento critico per Freud, sia a livello storico che personale...
È una notte molto complicata, la figlia cerca di convincerlo a firmare un documento che permetterebbe loro di scappare, di lasciare Vienna, ma Freud rifiuta. Arriva un ‘soldatino’ della Gestapo, interpretato da Alessandro Tedeschi, una figurina molto particolare, che incarna il male in modo un po’ grottesco. In una scena drammatica Anna si rivolta contro di lui, che la arresta e la porta via, lasciando il vecchio Freud in completa solitudine. Un incipit di questo tipo fa sì che Freud sia ancora più debole e fragile. Non solo è malato, non solo i nazisti sono alle porte, non solo tutto quello in cui ha creduto sta per essere spazzato via, ma è stato appena privato anche della figlia a cui è legatissimo. È in questo momento molto drammatico che appare una figura improbabile e strana, molto misteriosa. Lui non sa da dove è entrato chi è, cosa vuole, cerca di inquadrarlo in qualche maniera, immagina che sia un possibile paziente.
E invece è Dio?
Così almeno dice lui. E inizia quindi il dialogo, un confronto colpo su colpo tra l’ateo per eccellenza e colui che dichiara di essere il Padreterno.
Un dialogo filosofico?
Il qualche maniera sì. Il male, la religione, l’esistenza di Dio sono i temi. Ma il tutto è condotto in un modo estremamente comico. L’impianto della pièce è quello di una commedia, in cui il rapporto tra i due viene continuamente messo in crisi. Così, quando Freud sta per credere che questo signore sia effettivamente Dio succede qualcosa che va a mettere in discussione questa convinzione: forse no, non è Dio, è un pazzo, capitato lì per caso. Forse però è davvero Dio. E si continua ad oscillare tra queste due possibilità.
In che modo i due attori protagonisti – entrambi molto noti non solo al pubblico teatrale – hanno interpretato i loro personaggi?
Nei panni di Freud Alessandro Haber ci regala, a mio parere, una delle sue più grandi interpretazioni. Un vecchio patriarca, fragile, malato, debolissimo e al tempo stesso con una grande forza morale. Dio, o meglio lo Sconosciuto come il personaggio viene definito nella pièce, è interpretato invece da Alessio Boni, che ne fa un personaggio molto luminoso, ‘strano’ nel senso più alto della parola, di un’ambiguità magnifica. L’incontro tra i due personaggi è divertentissimo.
Lo spettacolo ha debuttato tre anni fa, e oggi siete ancora in tournée. Vi aspettavate questo successo di pubblico?
Abbiamo superato le 170 repliche e arriveremo a farne 220 entro quest’anno. È un numero enorme, per come stanno andando le cose, di questi tempi. I teatri continuano a chiedere lo spettacolo. E il pubblico ad apprezzarlo.
Davvero una conversazione tra Freud e Dio attira così tanto il pubblico?
Bisogna dire che il tema è trattato in modo vivace e leggero, lo spettacolo non è seriosamente filosofico. Evidentemente però la commedia va a toccare un’urgenza che appartiene al momento storico che stiamo vivendo. Il bisogno di farsi delle domande importanti e profonde. Devo dire che il pubblico reagisce in una maniera straordinaria, è sempre coinvoltissimo. Quindi rispondo di sì, c’è una grande richiesta per questo tipo di tematica e di approccio alla tematica. Una richiesta che noi stessi non ci aspettavamo, non di queste dimensioni per lo meno. Anzi, inizialmente devo dire che nutrivamo parecchie perplessità.
Legate al testo e alle sue tematiche?
Non eravamo affatto sicuri che avrebbe funzionato, perché il tema suona piuttosto impegnativo. Il testo di Schmitt, dal 1993 a oggi, ha avuto parecchi allestimenti in Francia, mentre in Italia prima di noi c’era stato solo quello del 1994 con Turi Ferro e Kim Rossi Stuart. È stata una bella scommessa, ma il risultato è stato davvero straordinario.
Qual è il rapporto tra l’aspetto dialogico del testo e l’interpretazione teatrale dei protagonisti?
Il visitatore è uno spettacolo che dà ampio spazio al dialogo, ed è sicuramente uno spettacolo da attori. La cosa molto interessante, secondo me, e che colpisce moltissimo il pubblico, è che sono tutti personaggi molto concretamente realizzati. Il visitatore che arriva di notte è quasi un clochard, un’immagine molto ‘spostata’ rispetto a Dio come siamo abituati a pensarlo di solito, avvolto da un’aura di sacralità. E lo stesso discorso vale anche per Freud: il padre della psicanalisi si manifesta in tutta la sua dirittura morale ma al tempo stesso si presenta con una figura piuttosto improbabile. Il merito in questo senso è in larga parte del regista, Valerio Binasco, che ha fatto un lavoro egregio, attraverso una regia è davvero molto fruibile, immediatamente percepibile.
In conclusione, un flash: perché andare a teatro a vedere ‘Il visitatore’?
Per l’interpretazione degli attori innanzitutto, che regala al pubblico un’esperienza davvero straordinaria. E poi per il piacere di farsi interrogare, ancora una volta, dalla domanda che tutti prima o poi ci poniamo. Dio esiste?
Francesca Radaelli