Omaima Hoshan è solo una ragazzina di 14 anni, ma ha già ben chiaro da che parte stare. La giovanissima siriana – che dal 2012 abita nel campo profughi di Zaatari, in Giordania – si sta impegnando anima e corpo in una campagna contro le spose bambine. La pratica del matrimonio precoce per le ragazze siriane rifugiate infatti è diventata la normalità, nonostante la legislazione giordana formalmente vieti le nozze prima dei 18 anni: spesso e volentieri le regole subiscono deroghe e il risultato è che il 35 per cento dei matrimoni celebrati in Giordania nel 2015 hanno coinvolto un minore.
Per le famiglie che abitano nei campi profughi, far sposare le figlie giovanissime, oltre a un fatto tradizionale, è un tentativo di alleviare la povertà in cui versano e di sottrarre le ragazze dal circolo di violenze sessuali in cui potrebbero entrare in quelle zone urbane degradate. Ma Omaima non ci sta e sta provando a convincere le sue coetanee delle sue ragioni. La lotta della ragazza comincia in quinta elementare, quando la sua migliore amica (che non aveva ancora compiuto 13 anni) abbandona la classe per sposare un cugino diciottenne. Il dolore della perdita apre gli occhi ad Omaima che – incoraggiata dai genitori – inizia una battaglia contro i matrimoni precoci, parlandone con i suoi compagni e organizzando, col supporto di Save The Children, eventi e laboratori sui rischi che corrono le ragazze sposandosi da bambine, come aborti spontanei e violenze domestiche.
«A Zaatari i ragazzi si sposano tra i 15 e i 18 anni – ha raccontato Omaima – e ovviamente vogliono una moglie più giovane. Se una ragazza non è sposata a 20 anni, qui è considerata troppo vecchia e tutti si chiedono il motivo per cui non ha ancora preso marito». La ragazza ad oggi ha persuaso alcune amiche a non sposarsi subito e a investire nella propria istruzione. Anche Omaima vuole continuare gli studi e da grande diventare un attivista per i diritti dei bambini del mondo.
Ilaria Beretta