di Daniela Zanuso
Ogni anno l’equivalente del flusso annuale del fiume Volga della Russia, viene sprecato per produrre cibo che non mangiamo. La perdita di uno sbalorditivo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all’anno, pari ad un terzo di quello prodotto, non sta solo causando gravi perdite economiche, ma … produce danni significativi alle risorse naturali, quelle risorse su cui l’umanità fa affidamento per sfamare se stessa. Questo è quanto emerge da un rapporto della FAO, il primo studio che analizza gli impatti di spreco alimentare dal punto di vista ambientale, esaminando specificamente le sue conseguenze sul clima, l’acqua, la terra e la biodiversità. Tra i principali risultati: ogni anno, il cibo che viene prodotto ma non mangiato, utilizza un volume di acqua equivalente al flusso annuale del fiume Volga della Russia ed è responsabile dell’immissione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera del pianeta. Gli sprechi alimentari producono una perdita economica di circa 750 miliardi di dollari all’anno. Il cibo sprecato potrebbe sfamare per un anno la metà degli abitanti del pianeta.
“Tutti noi – agricoltori, pescatori, trasformatori alimentari e supermercati, governi locali e nazionali e singoli consumatori – dobbiamo apportare modifiche in ogni anello della catena alimentare per evitare lo spreco di cibo in primo luogo e il riutilizzo o il riciclo quando non possiamo utilizzare il cibo prodotto ” ha detto il Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva. “Non possiamo permettere che un terzo di tutto il cibo che produciamo finisca nei rifiuti o venga perso a causa di pratiche inadeguate, quando 870 milioni di persone soffrono la fame ogni giorno”.
Gli sprechi alimentari producono una perdita economica enorme, ma il danno maggiore è l’impatto ambientale di questa produzione sprecata.
Una combinazione di fattori, tra cui anche il comportamento dei consumatori e la mancanza di comunicazione nella catena di approvvigionamento, è alla base dei più elevati livelli di rifiuti alimentari nelle società opulente. I consumatori non riescono a pianificare i loro acquisti, mentre la qualità e gli standard estetici, portano i rivenditori a rifiutare grandi quantità di cibo perfettamente commestibile.
Nei paesi in via di sviluppo le perdite più significative (40%) si registrano nel post-raccolto, nella lavorazione e stoccaggio. Nei paesi industrializzati la stessa percentuale di spreco si verifica a livello di distribuzione e domestico. La FAO ha pubblicato anche un completo “tool-kit” che contiene raccomandazioni per ridurre lo spreco in ogni fase della catena alimentare.
Il Kit propone: in caso di eccedenze alimentari ri-usare, attraverso la ricerca di mercati secondari o la donazione di cibo alla parte più vulnerabile della società. Se il cibo non è idoneo al consumo umano, si può riutilizzarlo per l’alimentazione del bestiame. Dove il riutilizzo non è possibile, il riciclaggio e il recupero sono altre opzioni da considerare: il riciclaggio dei sottoprodotti, la produzione di compost e l’incenerimento con recupero di energia, sono tutti vantaggi significativi rispetto alla discarica. Anche perché il cibo non consumato, che finisce per marcire in discarica, è un grande produttore di metano, un gas serra particolarmente dannoso. Ridurre infine lo spreco di cibo con una migliore raccolta, stoccaggio, trasporto e processi di vendita al dettaglio. Ma anche nelle nostre case, cosa di cui parleremo nei prossimi giorni.