di Roberto Dominici
Le staminali sono cellule primitive, il cui destino in quanto forma e funzione, non è ancora stato “deciso”. In seguito a un processo di differenziamento guidato da istruzioni genetiche, queste cellule si specializzano fino a formare muscoli, ossa, neuroni, sangue o pelle. Allo stato “staminale”, hanno ancora più di una potenzialità nel diventare l’uno o l’altro tessuto.
Questa straordinaria caratteristica le ha rese estremamente importanti per capire un fenomeno complesso come lo sviluppo embrionale, nonché la formazione di molte patologie come il cancro. Nell’immaginario collettivo le cellule staminali sono diventate quasi una “soluzione perfetta” in vari campi della medicina, come una potenziale cura risolutiva per molte malattie.
L’opinione pubblica, però, sottovaluta sia l’effettivo raggio di utilizzo delle cellule staminali sia le difficoltà oggettive di impiegarle per i vari trattamenti. Mentre è ormai ampiamente diffuso e sicuro l’uso delle cellule staminali del sangue (HSC) mediante trapianto cioè la procedura medica utilizzata in ematologia ed oncologia, quasi sempre per pazienti affetti da malattie del sangue o del midollo osseo, la terapia con queste cellule per altre malattie è ancora oggetto di ricerca e di studio e potrebbe in futuro avere importanti risvolti nel trattamento per esempio della malattia di Parkinson, della Sclerosi multipla, della Maculopatia, del Glaucoma o per “riparare” il cuore in seguito ad un infarto.
Nel corso degli ultimi 15 anni, si sono susseguite scoperte circa la presenza di cellule staminali in varie parti del corpo, quali il cordone ombelicale, il liquido amniotico e persino i denti da latte del bambino. Basti pensare alle fondamentali ricerche riguardanti un particolare tipo di cellule staminali dette cellule staminali pluripotenti indotte (note anche come iPS o iPSC dall’inglese Induced Pluripotent Stem Cell). Si tratta di un tipo di cellula staminale generata artificialmente a partire da una completamente differenziata (in genere una cellula somatica adulta) che mediante l’introduzione di quattro geni specifici vien riconvertita in cellula staminale pluripotente che a sua volta potrà svilupparsi in cellula differenziata di una linea cellulare specifica a quello che occorre.
Sulla base di tali proprietà, le iPSC offrono grandi speranze nel campo della medicina rigenerativa: la possibilità di indurne la differenziazione nella maggior parte dei tipi cellulari di un organismo (come ad esempio neuroni, cellule pancreatiche, cardiache ed epatiche), può essere sfruttata nella rigenerazione di tessuti o organi danneggiati. Sarà così possibile per esempio somministrare cellule pancreatiche ottenute dalle IPSC che producono direttamente insulina; queste cellule potranno essere modificate in modo tale che non sarà necessario usare farmaci immunosoppressivi per evitarne il rigetto (quando non appartengono al soggetto trattato) e non essere attaccate dal sistema immunitario. In questo ambito il nostro paese presenta delle eccellenze come il Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” (CMR) dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia con il suo direttore Michele De Luca, e Graziella Pellegrini e naturalmente il loro staff.
Sebbene gli sforzi dei ricercatori si siano concentrati soprattutto sulle potenzialità delle cellule staminali nella medicina rigenerativa, esse possono essere utilizzate anche nello sviluppo di farmaci, una frontiera che può portare a enormi passi avanti nella biomedicina. L’industria farmaceutica, infatti, si sta interessando sempre più alle cellule staminali per testare la tossicità dei farmaci e individuare potenziali nuove terapie. In questi ultimi dieci anni è cresciuto l’uso delle staminali come strumento di ricerca nel settore della tecnologia farmacologica ed è emerso un nuovo ruolo per le cellule staminali con ricadute di grande interesse per svariate applicazioni biomediche. Infatti esse possono essere utilizzate come trasportatori di farmaci, proprio come dei carriers adatti per trasportare i farmaci nella giusta sede di azione.
In uno studio italiano, pubblicato sulla rivista “Plos One”, cellule staminali mesenchimali umane selezionate da midollo osseo, sono state successivamente, addizionate in vitro con preparazioni di farmaci antitumorali o chemioterapici ed utilizzate come avviene nella classica terapia antitumorale. Grazie a questo nuovo protocollo, le cellule staminali diventano un dispositivo biologico totalmente compatibile con il paziente ed in grado di raggiungere in maniera altamente specifica le cellule dell’organo colpito dal tumore garantendo, di conseguenza, una maggiore azione terapeutica.
Questa scoperta apre nuovi orizzonti per la chemioterapia. La procedura di realizzazione non comporta manipolazioni genetiche. Ma l’aspetto più importante riguarda soprattutto la possibilità di terapie notevolmente più mirate e specifiche con il conseguente annullamento di alcuni effetti collaterali tipici dei chemioterapici tradizionali. Inoltre la cellula staminale caricata con il farmaco chemioterapico può essere crioconservata ed utilizzata anche a distanza di molti anni nel caso in cui, ad esempio, lo stesso paziente/donatore presentasse una recidiva. Si tratta di aspetti innovativi della medicina dei quali al più presto si potrà beneficiare tutti.
8 aprile 2019