La profonda crisi che colpisce il settore dell’high tech brianzolo ha radici insieme lontane e vicine. La cosiddetta Silicon Valley italiana nacque a partire dagli anni ’60 dopo l’apertura del grosso impianto produttivo e di ricerca dell’IBM a Vimercate. La vicinanza a Milano e al cuore dell’Europa, la disponibilità di terreni e di infrastrutture portarono
alla più alta concentrazione di aziende dedicate all’alta tecnologia e alle comunicazioni sul territorio italiano. La Brianza stava perdendo la sua vecchia industria di base, soprattutto il tessile, ma ritrovava un profilo industriale d’avanguardia.
La fase iniziale della globalizzazione, quella degli anni ’90, pose il primo punto interrogativo sul futuro del settore, con la delocalizzazione delle lavorazioni nei Paesi dell’Estremo Oriente e dell’Europa dell’Est, che offrivano manodopera a costi stracciati. Le attività produttive migravano, ma rimanevano sul territorio le attività di supporto ai clienti, di commercializzazione e di ricerca e sviluppo.
Oggi anche queste attività rischiano di spostarsi altrove. Ma non per il differenziale tra il costo del lavoro italiano e quello di altri Paesi. La crisi occupazionale annunciata da Alcatel-Lucent, che colpirà pesantemente il sito di Vimercate nel quale lavorano prevalentemente ricercatori, è dovuta a una nuova tappa della globalizzazione: nella quale l’Italia rischia di essere pesantemente colpita dalla mancanza di politiche industriali, dal ritardo nello sviluppo del digitale, dalle piccole dimensioni del mercato interno.
I concorrenti della Brianza non sono più soltanto la Repubblica Ceca o la Cina. Oggi per i gruppi multinazionali diventano più appetibili la Francia e gli Stati Uniti, Paesi che stanno investendo grandi risorse per creare condizioni favorevoli agli investimenti. Investimenti nelle reti per la trasmissione dati, nel ciclo della formazione professionale e universitaria, nella ricerca in campo industriale, nella creazione di condizioni fiscali vantaggiose per gli investitori stranieri.
Si tratta dei punti fondamentali di quelle che potremmo definire politiche industriali “moderne”: non più lo Stato imprenditore, che gestisce in proprio aziende e lavoratori, ma lo Stato che crea le condizioni perché i capitali privati decidano di investire sul suo territorio. L’high tech della Brianza è vittima dell’immobilismo dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Governi che hanno rimandato per anni gli investimenti sulla banda larga e che nell’odierna Legge di Stabilità prevedono di spendere soltanto 150 milioni di euro per l’agenda digitale: un’inezia, al limite del ridicolo.
Governi che ignorano sia che cosa significhi oggi “produrre”, sia le condizioni globali che determinano la concorrenza. In Italia, quando si parla di questi temi, si pensa puramente ed esclusivamente agli aspetti occupazionali. Ovviamente sacrosanti. Il vero dramma, però, è che quando un Paese esce da un settore industriale così importante, in grado di determinare la nostra vita nel futuro, difficilmente poi riesce a rientrarci.
Ecco perché il problema produttivo e quindi occupazionale della Brianza, dovrebbe essere a tutti gli effetti un’emergenza nazionale. Siamo ancora in tempo per reagire, ma bisogna che si proceda con coraggio. E con scelte che ribadiscano nei fatti che dalla crisi si esce rilanciando l’economia: non bastano i tagli lineari, il gioco d’azzardo e i giochi contabili.
Alfredo Somoza è presidente di ICEI – Istituto Cooperazione Economica Internazionale – www.icei.it e direttore di www.dialoghi.info.it Il suo blog si trova al link: www.alfredosomoza.com