di Valeria Savio
Il Natale non ha alcun significato religioso per Yasmina, eppure nella sua casa, in Sicilia, c’è un panettone che sporge dall’anta socchiusa di una credenza, e rappresenta in qualche modo il legame fra due mondi, quello delle origini e quello in cui la donna vive. Yasmina riceve Damiano, il suo ospite, offrendogli un qahwa, un caffè, e si stupisce del fatto che le chieda la ricetta dei biscotti che sta assaggiando, perché non è abituata a queste domande da parte di un uomo. La donna, che lavora saltuariamente come colf, vive con un nipote marinaio, che si occupa di lei e del suo sostentamento. Durante la chiacchierata con Damiano, Yasmina è impegnata nella preparazione del pranzo, e si dedica alla cucina con una cura e una lentezza che hanno qualcosa di sacro, invita Damiano a pranzo, ma il ragazzo è costretto, suo malgrado, a rifiutare, perché deve trascorrere le festività natalizie in famiglia. Ma non importa, perché ciò che conta non è il sapore del cibo, ma il calore della condivisione delle tradizioni e la consapevolezza di aver ricevuto in dono un legame fra due culture differenti.
Il giovane Karìm viene dal Marocco ed è in Italia da un anno, mentre, ʿAlī è arrivato soltanto da tre mesi, Damiano ha conosciuto Karìm a Palermo, in una bancarella che vende pane. Beve un the con loro, in un furgone adattato ad abitazione, ʿAlī è giunto con un’imbarcazione, Karìm, invece, ha un permesso di soggiorno per motivi di salute, poiché deve subire un intervento in Italia.
I due immigrati non hanno molto, eppure sono disposti a condividere con Damiano tutto ciò che possiedono, dal poco cibo disponibile ai loro sorrisi sinceri, con un altruismo che colpisce lo studente, che, in cuor suo, augura ai due di poter ricevere dalla vita ciò che chiunque merita, ovvero “un pasto, un tetto ed un lavoro che sia degno di essere chiamato tale”.
Damiano Meo, insegnante e giornalista siciliano, si occupa di migrazione, disabilità e glottodidattica. I due racconti proposti in questo volume riportano incontri avvenuti diversi anni fa, quando era ancora uno studente di lingue e culture moderne, e decise di documentare alcuni momenti di scambio interculturale, ritenendo che la conoscenza reciproca sia alla base del rispetto e della convivenza pacifica.
Yasmina, Karìm, ‘Alī e tutti gli altri protagonisti vengono ritratti nei loro momenti quotidiani, in quei piccoli o grandi gesti che caratterizzano la loro routine e portano in sé tutto il senso della cultura di appartenenza e del desiderio di conservare le proprie radici anche in un territorio diverso, in cui cercano di adattarsi senza sacrificare, per questo, le proprie radici. I dialoghi riportati, in cui si parla di vari argomenti cercando di superare le barriere linguistiche, diventano così il punto di partenza di un dialogo più ampio che possa permettere di ridurre le distanze e le diffidenze.
Il testo fa parte di una collana diretta dalla Fondazione Migrantes in collaborazione con la Tau editrice, e si chiude con una postfazione curata da Monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione, in cui, si approfondiscono, fra gli altri, il tema dell’immigrazione e del suo impatto sull’ economia e sulla società e il ruolo dell’Italia, dell’Europa e della Chiesa Cattolica nella difficile e necessaria opera di accoglienza e integrazione dei migranti.
L’ho letto da pochissimo e sono contento che ne abbiate parlato: ne vale
la pena. non penso si tratti della negazione del Natale ma forse della sua essenza più profonda: quella di abbracciare l’umanità con le sue imperfezioni. La narrazione è efficace: sembra di sentire il profumo di quei momenti. Anche la postfazione non è male: spiega il fenomeno in maniera semplice ed essenziale. Bel testo. Da leggere!
Ho iniziato a leggere, e subito le parole di questo libro hanno preso vita, come scosse da un piccolo tremore di piacere e sono volate via dalle pagine come con il loro carico di profumi e colori: sembrava davvero di essere nella cucina di Yasmina. Mi piace tutto di questo incontro impastato con la semplicità di ingredienti comuni alle due culture. Quel “quasi” Natale che è annunziatore di vicinanze e divisioni allo stesso tempo; che scruta un orizzonte pieno di speranze e condivisioni, non del tutto appagate: un perfetto aggettivo che descrive come la festa non è quella che si celebra ma quella che si vive di giorno in giorno l’uno accanto all’altro con il conforto del sorriso. Drammatico a tratti, dove la morte è solo intuita in un immagine sbiadita della TV; dolce e poetico la maggior parte delle volte, come le parole che scendono giù fino a fondersi con le nostre papille gustative. Sempre comunque vero e costante nel suo messaggio di speranza, sia che esso sia irradiato dal calore di un forno di cucina o dal calore di un furgoncino. A mio avviso, questo libro è da assaporare senza indugi, come il tè, caldo alla menta, celebrato dai suoi semplici ma affascinanti personaggi perché, come dice l’autore, solo “scavalcando muri e mari” possiamo guardarci negli occhi. Un piccolo scrigno pieno zeppo di esempi da imitare ed imparare ad essere tanti giovani ingegneri di ponti. Consigliato come dono a tutti coloro che vivono troppo spesso nei loro “quasi” confini.