di Daniela Annaro
“Come una piccola candela che si levava e si agitava”. Fu quello il primo segnale che ebbero i marinai della “Pinta”, una delle tre caravelle in navigazione verso il nuovo mondo. Alle due di notte di venerdì 12 ottobre 1492, dopo 71 giorni di navigazione, molto tormentata, Cristoforo Colombo scopriva le Americhe, approdando sulla costa dell’attuale San Salvador.
Un’impresa all’insegna dell’errore di calcolo. Il genovese Colombo avrebbe voluto raggiungere le Indie. E non certo perché fosse convinto che la terra fosse piatta, tutt’altro! Il navigatore Colombo era un uomo istruito, aveva consapevolezza della sfericità del globo, come sapevano cartografi e intellettuali fin dal Basso Medioevo, (si veda, per esempio, Dante Alighieri). Una nozione posseduta e condivisa già dagli Ellenisti.
Faticò non poco il povero Colombo a convincere i finanziatori a concedergli denari e navi. Anni di trattative diplomatiche finché ebbe il placet dalla Regina Isabella di Castiglia, dopo aver vagato e supplicato le corti di mezza Europa.
Cristoforo era figlio di mercanti e ristoratori liguri, già a 14 anni aveva capito che la sua vita era il mare, il navigare, lo scoprire nuove frontiere.
L’idea di raggiungere le Indie per una rotta via mare gli venne, pare, durante un tragico incontro con un naufrago che, in punto di morte gli tracciò una mappa. A quel tempo, Cristoforo viveva a Lisbona. Incominciò ad approfondire questa ipotesi, studiando e consultando testi e mappe, ovviamente compreso Il Milione di Marco Polo. Era convinto che al largo del Mare Oceano, come chiamavano allora l’Atlantico, avrebbe dovuto esserci una paese, un continente, l’Asia e le Indie nella fattispecie. Un errore che lo portò ad entrare di diritto nella Storia, quel giorno venerdì 12 ottobre 1492 ha cambiato il suo destino e con esso quello del Vecchio Continente, l’Europa.
Quando si pensa o parla dell’avventuroso viaggio di Cristoforo Colombo, del suo arrivo a Guanahami il 12 ottobre del 1492 e della scoperta del “nuovo mondo” di rado, ci si sofferma a considerare i piccoli grandi mutamenti apportati alle nostre consuetudini quotidiane.
Gran parte della frutta e della verdura che si trova nei supermercati è giunta in Europa tra il XV e il XVI secolo, dopo che Cristoforo Colombo aveva scoperto l’America.
Da quel momento, grande fu lo scambio culinario tra il Vecchio e il Nuovo continente. Furono i Conquistadores spagnoli, nel 1521, approdati in Messico, a trovare, al posto dell’oro e dell’argento tanto sognato, una grande quantità di piante sconosciute, come il mais, l’avocado, la zucca, il fagiolo rosso, il pomodoro, la vaniglia, la patata e le noccioline; e frutti tropicali come l’ananas, il mango e la papaya.
Eppure la loro bontà – ma soprattutto la loro utilità – non fu compresa da subito. Erano le navi dei Conquistadores che partivano da Veracruz e arrivavano a Cadice, dalla metà del XVI secolo, a trasportare tutti questi tesori più preziosi dell’oro e dell’argento. Ma il pomodoro, ad esempio, che era uno di questi, fu utilizzato dapprima con una funzione solo ornamentale (era considerato troppo bello per essere anche buono). Così, invece di mangiarlo, visto che era ritenuto velenoso, lo si usava per abbellire parchi e giardini nobiliari. Originario del Messico e delle Ande peruviane, il pomodoro giunse in Italia dapprima nelle repubbliche marinare di Napoli e Genova. In Francia si dovrà aspettare addirittura la vittoria di Marengo per considerarlo un ottimo prodotto culinario, poiché fu il cuoco di Napoleone a preparare il cosiddetto pollo alla Marengo adottando gli alimenti che aveva a disposizione (pollo, pomodori, aglio, olio e pane).
Anche il mais, scoperto a Cuba, fu importato dal Nuovo Continente. Intorno al 1000 a.C., gli antenati degli indiani Hopi lo usavano per preparare la pasta delle Tortillas e attribuivano al mais un’origine divina, come era scritto nel libro sacro dei Maya. Ma gli spagnoli e i portoghesi lo utilizzarono soprattutto per la preparazione della farina.
La patata, come il pomodoro, fu dapprima usata come mangime per il bestiame e solo in un secondo momento giunse nelle case e nelle cucine degli europei, diventando in alcune aree l’elemento base dell’alimentazione.
E se tutto questo non avesse dato ancora l’idea della straordinarietà dell’impresa della spedizione di Cristoforo Colombo, basta aggiungere un ultima parola: cacao.
Fotografie fonte licenza creative commons
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