Il terremoto e le nostre fragilità

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di Luigi Losa

La prima volta, il 24 agosto, eravamo ancora un po’ storditi dalle vacanze o comunque dall’estate ancora calda. E in ogni caso dinanzi alla tragedia di quasi 300 morti non siamo rimasti nè indifferenti, nè insensibili. Niente di eclatante perchè in fondo sono rari gli ‘squilli’ di entusiasmo e partecipazione che la nostra cara Brianza sa offrire. Comunque sia, le raccolte di fondi organizzate a tamburo battente qua e là un discreto risultato l’avevano dato. Oltre alle donazioni che, alla spicciolata, ciascuno ha fatto ai vari numeri verdi, gialli, rossi, etc.

Poi col passare del tempo abbiamo tutti pensato che fosse finita e che si dovesse incominciare a provvedere alla ricostruzione. Ma all’improvviso, poco più di due mesi dopo, il 26 ottobre, il terremoto ha di nuovo fatto irruzione nelle case attraverso il telegiornale all’ora di cena. Nuove devastazioni, zone interessate sempre più ampie e fiato sospeso per la paura di altre vittime.

Nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo e capire perchè e percome non era finita e la mattina di domenica 30 ottobre il terremoto è arrivato per la terza volta, in diretta, all’ora di colazione con la tazza del caffelatte davanti, la chiesa di Norcia ridotta alla facciata e dietro solo le macerie, le suore di clausura che scappano, la gente che si mette in ginocchio verso il sole che pallidamente illumina un nuovo terribile disastro. E noi lì ancora a considerare che comunque anche questa volta per fortuna morti non ce ne sono stati, che la macchina dei soccorsi funziona sempre meglio, che se c’è bisogno di metter mano ancora al borsellino, quello delle monete eh, non al portafogli delle banconote, beh si può fare.

Della Basilica di San Benedetto a Norcia rimane solo la facciata
Della Basilica di San Benedetto a Norcia rimane solo la facciata

Sono passati i giorni, la vita ha ripreso il solito tran tran e anche giornali e tivù hanno avuto e hanno tante altre cose di cui occuparsi, il referendum, le elezioni in America, la guerra in Siria e dintorni, la cronaca nera e quella rosa. Il terremoto e i terremotati? C’è spazio anche per loro, sicuramente, ma sempre meno, sempre dopo. Come per i migranti, anche quando ne annegano ancora a decine e centinaia ma se ne parla di striscio, se c’è posto.

Eppure lì tra le Marche e l’Umbria che ci sono sempre piaciute, perchè così belle, così verdi, con quei paesini a misura d’uomo che vien voglia anche noi di andarci a stare, a vivere, eppure lì ci sono almeno trentamila persone, uomini, donne, bambini, anziani, famiglie, aziende, scuole, chiese distrutte non solo fisicamente ma anche dentro, nell’anima. Perchè la paura è che non sia finita e che non si sa quale sarà il futuro, domani, tra un mese, tra un anno, la casa, il lavoro, i figli, i genitori.

Effetti del sisma ad Amatrice
Effetti del sisma ad Amatrice

Ma quasi inconsciamente ce ne distacchiamo e ci facciamo ingoiare ancora e di nuovo da quella bestia del nostro tempo che si chiama ‘indifferenza’. Mentre invece il terremoto, così come le migrazioni, ci stanno mettendo sotto gli occhi quanta e quale sia la fragilità che non è solo di quelle terre e di quel patrimonio artistico e monumentale unico al mondo. Ma delle nostre stesse vite, delle stesse nostre anime, dei nostri comportamenti, atteggiamenti. E rischiamo di scappare persino dalle notizie e dalle immagini che ci diventano insopportabili perchè scomode, perchè vere. Abbiamo paura, viviamo nella paura perchè non crediamo più a niente, non solo al Padreterno.

Perchè abbiamo pensato e pensiamo che possiamo fare da soli, risolvere tutto, essere invincibili e insostituibili, autosufficienti e onnipotenti. E invece il terremoto è lì a dirci che in un istante, in un amen può finire, può crollare tutto, la casa, il lavoro, la famiglia, la vita. E allora? Beh incominciamo a non dimenticarlo e a non dimenticare quei poveri disgraziati su cui si è abbattuta la catastrofe. Anche la solidarietà certo è cambiata, ci hanno detto che non c’è bisogno nè di volontari nè di scatolette di tonno o di maglioni. C’è bisogno di soldi, certo e Renzi sta litigando con l’Europa e il mondo intero al riguardo.

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L’effigie del Santo di Norcia in posa emblematica sulle rovine della sua Basilica

Ma noi, cosa possiamo fare? Beh intanto pensare a quell’immagine della gente in ginocchio davanti alle rovine di Norcia. E poi, magari, a partire dalle tante nostre associazioni di volontariato, di ogni genere, pensare ad un gesto, ad un progetto, un gemellaggio, un’adozione, ad una iniziativa tutti insieme, in ogni Comune della Brianza. Per far sentire a quella povera gente che anche una comunità tranquilla e pasciuta come quella brianzola può fare qualcosa perchè anche loro tornino ad essere una comunità. Perchè è difficile che qualcuno possa sempre salvarsi da solo, se si è almeno in due magari è meglio, c’è una possibilità in più.

Voglio essere sincero, non è che ci creda molto ad un sussulto di solidarietà vera e vissuta, non emotiva e istintiva ma di più ampio respiro ma mi piacerebbe tanto essere smentito.

 

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