Tettamanzi, il cardinale che salutava tutti, uno per uno

di Luigi Losa

La prima volta rimasi sorpreso ma pensai che fosse una scelta episodica legata al fatto che erano le sue prime visite da nuovo arcivescovo, soprattutto in Brianza la sua terra natale, che fosse Monza o Seregno o altre comunità. Poi invece constatai che più che un’abitudine era una precisa scelta, faticosa la sua parte ma quanto mai significativa.

Che fosse una celebrazione, solenne oppure ordinaria, un incontro, una conferenza, il cardinale Dionigi Tettamanzi alla fine si fermava e incominciava a salutare uno per uno tutti i presenti, che si mettevano ordinatamente e pazientemente in fila. A tutti chiedeva come si chiamassero, di dove fossero e di quale parrocchia e se li conosceva già domandava notizie personali e familiari.

Così, senza badare all’orologio che invece il giovane segretario don Umberto Bordoni di Cesano Maderno ogni tanto guardava preoccupato perché si faceva tardi o c’erano altri impegni e appuntamenti.

Fino a quando se n’erano andati tutti e quindi poteva accomiatarsi da chi l’aveva accolto ed ospitato e andarsene a sua volta.

Ho assistito spesso a questa scena e spesso sono rimasto anch’io, pazientemente, sino alla fine per salutare don Dionigi, che mi conosceva e riconosceva e ogni volta mi chiedeva soprattutto notizie del giornale che dirigevo, ‘il Cittadino’ che seguiva puntualmente, in ogni sua edizione.

Si era infatti creata una familiarità proprio a motivo della comune ‘appartenenza’ a quella Brianza a cui Tettamanzi è rimasto sempre legato e che l’ha visto concludere la sua vita terrena in quel di Triuggio, in quella Villa Sacro Cuore diventata da poco meno di sei anni la sua casa. Dove l’ho incontrato di nuovo e spesso, l’ultima volta prima del Natale scorso in occasione di una seduta del consiglio pastorale diocesano e che era motivo per tanti altri consiglieri di poterlo salutare.

Poi il crollo fisico e sanitario con il suo medico personale, Alfredo Anzani a tenermi informato quando ci incontravamo in Fondazione delle Comunità di Monza e Brianza di cui entrambi siamo componenti del cda. Poche settimane orsono Alfredo con un nodo alla gola mi aveva sussurrato che oramai per don Dionigi non c’era più nulla da fare.

Se n’è andato dunque quello che è stato il ‘mio’ arcivescovo più di tutti gli altri, proprio perché brianzolo e perché in fondo ‘amico’. Al punto che, proprio per la familiarità che ci legava, non mi ha mai concesso un’intervista ma semmai qualche suo scritto comunque assai prezioso.

Per ironia della sorte l’unica intervista riuscii a fargliela quand’era ancora arcivescovo di Genova e doveva venire a Monza per parlare di etica agli industriali brianzoli, invitato dal suo compaesano e amico di una vita Carlo Edoardo Valli, al tempo presidente dell’Aimb, l’associazione di viale Petrarca.

Se n’è andato alla vigilia della festa della trasfigurazione che è passata alla storia recente della Chiesa perché il 6 agosto del 1978 moriva Papa Paolo VI, quel Giovanni Battista Montini che fu uno dei predecessori di Tettamanzi sulla cattedra di S. Ambrogio e S. Carlo a Milano e che ebbe ad ordinarlo sacerdote a sol 23 anni, il 28 giugno del 1957, giusto sessantenni fa. Una ricorrenza solitamente festeggiata da tutti i sacerdoti che hanno la fortuna di approdarvi ma che la malattia ha impedito a don Dionigi di vivere con gioia tra le tante persone che hanno continuato e continueranno a volergli bene.

L’arcivescovo emerito cardinale Dionigi Tettamanzi resterà sicuramente nella memoria e nel cuore di tanta gente, cristiani e non, praticanti o tiepidi o lontani, prima ancora che nelle storia della Chiesa ambrosiana e universale per il suo sorriso sempre aperto, lo sguardo sincero, il cuore pronto a gioire e soffrire con chi stava accanto o di fronte.

Ci sono parecchi aspetti della vita sacerdotale di quest’uomo che è stato teologo e bioetico di grande valore, insegnante e rettore del pontificio seminario lombardo di Roma, arcivescovo di Ancona-Osimo e quindi di Genova, prima di approdare a Milano quale successore di Carlo Maria Martini (che l’aveva consacrato vescovo nel 1989), segretario generale e quindi vicepresidente della Conferenza episcopale italiana.

Rimandando ad una più diffusa disamina, soprattutto dei suoi nove anni di arcivescovo di Milano, resta oggi la tenerezza del ricordo, la tristezza di una dipartita terrena, la nostalgia di un’amicizia.

A Dio Eminenza.

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