di Francesca Radaelli
È iniziata con uno spettacolo che mette in scena una messinscena la nuova stagione del Teatro Manzoni di Monza, che festeggia quest’anno il suo 60esimo compleanno. La pièce che inaugura la rassegna di prosa 2015-2016 è l’Enrico IV di Luigi Pirandello. La firma alla regia è di Franco Branciaroli, che recita anche nel ruolo del protagonista. La produzione è firmata CBT Teatro Stabile di Brescia – Teatro degli Incamminati.
In realtà le ‘messinscene’, all’interno del dramma pirandelliano, celebre capolavoro di teatro nel teatro, sono più di una. Sono tre, se si considerano in primo luogo la mascherata pianificata dal gruppo di parenti e amici allo scopo di far rinsavire il protagonista, in secondo luogo l’inganno che i tre servitori del presunto Enrico IV mettono in atto ogni giorno fingendo di vivere 400 anni prima, in terzo luogo la finzione in cui il protagonista ha scelto di vivere fingendosi consapevolmente e volutamente pazzo e indossando ogni giorno la corona e la veste del re cinquecentesco Enrico IV di Franconia impegnato nella lotta per le investiture.
A dirla tutta, però, le finzioni sono ben più di tre. Sono infinite, ci dice Luigi Pirandello, all’interno del dramma in questione così come all’interno della vita quotidiana di ciascuno. Sono le maschere che i protagonisti dell’Enrico IV indossano anche quando non sono travestiti in abiti del Rinascimento, anche quando non sono intenti a recitare una commedia di carnevale. Sono quelle maschere che indossiamo più o meno consapevolmente anche noi, come i contemporanei di Pirandello, tutti i giorni, quelle maschere necessarie alla nostra vita relazionale, che rappresentano uno dei simboli più cari al grande drammaturgo siciliano.
Non è un caso che i personaggi indossino abiti di oggi quando entrano in scena, su di un palco dominato da cavalli di giostra e ritratti giganteschi. Oggetti che rimandano a una cavalcata in maschera di 20 anni prima, a un passato che non è mai passato, nel cuore del presunto Enrico IV come, forse, anche nei sentimenti di Matilde, la donna allora amata dal protagonista, ora sposa del rivale Tito. Ovvero del responsabile della caduta da cavallo che è stata causa della pazzia di Enrico.
Enrico IV, il personaggio forse più compiuto e complesso del teatro pirandelliano, è un personaggio che in scena fa l’attore, un personaggio a cui Franco Branciaroli si è voluto accostare nell’ambito di un percorso coerente che negli ultimi tempi lo ha visto affrontare altri personaggi teatrali per certi versi simili: Don Chisciotte, il Servo di scena di Shakespeare, il Teatrante di Thomas Bernhard. Non c’è dubbio, Enrico IV è decisamente nelle corde del grande attore milanese. Intensa e dolente, l’interpretazione di Branciaroli restituisce tutto lo spessore umano e la sofferenza sommessa e solenne del ‘personaggio’ Enrico IV. Una sofferenza vera, consapevole, lucida. Una sofferenza da clown disincantato, che spicca ancor di più nel vortice dei personaggi di contorno, che si agitano sul palco, decisamente sopra le righe, esasperando volutamente la recitazione, tra atteggiamenti di caricatura e vorticosi cambi d’abito.
Vero ‘centro’ dello spettacolo non può che essere il monologo in cui ai servitori in armatura rinascimentale il protagonista svela finalmente, in un’atmosfera intima e introspettiva, la verità. Ossia che sì, lui è stato pazzo per 12 anni, ma ora è rinsavito. Ha deciso però di continuare a fingersi pazzo, profondamente deluso dall’ipocrisia di tutto e di tutti. È questo il punto che getta luce sull’intera vicenda, il momento in cui si svela tutta la grandezza tragica del personaggio di Enrico IV. Il momento in cui Franco Branciaroli dimostra tutta la propria istrionica capacità di toccare, anche attraverso una modulazione sapiente delle tonalità e dei timbri di voce, ogni sfumatura del personaggio e delle sue riflessioni. Il punto che getta luce, anche, sul finale della rappresentazione, tanto a livello concettuale quanto dal punto di vista scenico.
Il sipario si chiude sulla figura di Enrico IV, con mantello e corona in testa a cavalcioni di un cavallo di giostra.