di Francesca Radaelli
Solidarietà e riflessione geopolitica. Sono stati questi i due ingredienti principali della serata dedicata alla situazione in Ucraina organizzata lo scorso 17 dicembre dal gruppo Monza Ambiente Solidarietà presso la biblioteca del Carrobiolo. Come ha sottolineato Fabrizio Annaro introducendo l’incontro, alla volontà di rilanciare e sostenere l’azione per il popolo ucraino di padre Luca Bovio, missionario della Consolata, si unisce l’esigenza di provare a comprendere gli ultimi sviluppi dello scenario internazionale.
Guerra in Ucraina: quando e come finirà?
La prima parte della serata ha visto dunque l’intervento di Alfredo Somoza, esperto di geopolitica. A lui viene rivolta la fatidica domanda: “Finirà la guerra in Ucraina?”
“E’ molto difficile dirlo”, sottolinea Somoza, “però possiamo registrare che in questo interregno tra l’elezione del presidente degli Stati Uniti e l’insediamento del presidente degli Stati Uniti che avverrà tra qualche settimana si sono accelerati molti processi. Merito anche di fattori, come la tregua in Libano, la conclusione – almeno apparente – del conflitto siriano che risale al 2011, l’avvio di una probabile trattativa per un cessate il fuoco temporaneo tra Israele e Hamas. In questo scenario ci si interroga poi su quale potrebbe essere la linea degli Stati Uniti con l’amministrazione Trump rispetto al conflitto russo-ucraino”.
Il dato che Somoza sottolinea “senza paura di essere smentito” è il fatto che la Russia sia stata sopravvalutata rispetto alle proprie capacità militari: “Forse l’unico suo elemento di supremazia che è l’arma nucleare, che però in un conflitto convenzionale non è stata mai utilizzata. Difficilmente può essere utilizzata in uno scenario con tratti di guerra di trincea. La Russia non è riuscita a tenere sotto controllo le tre province del Donbass, non è riuscita a far cadere il governo di Zelensky e instaurare un qualche regime sul modello bielorusso, che era forse il suo obiettivo primario”.
La crisi della politica internazionale
La Russia dal punto di vista militare sembra diventata una potenza di seconda categoria rispetto alla posizione che sembrava occupare prima del conflitto in Ucraina. “Ma dall’altra parte”, aggiunge Somoza, “dobbiamo registrare un fallimento collettivo: gli strumenti di ritorsione classici che sono sta stati applicati contro la Russia – dall’embargo, alle sanzioni ad personam, al divieto di circolazione dei cittadini russi – son tutti falliti miseramente. Questo ci dice anche che è molto difficile oggi ipotizzare che ci sia una qualche efficacia del diritto internazionale, paralizzato dal consiglio di sicurezza dell’Onu, all’interno del quale cinque potenze hanno il diritto di veto”.
“Le stesse sanzioni contro la Russia, che noi immaginavamo universali, in realtà sono stati applicate dall’Europa occidentale, dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Australia e dal Giappone, e quindi la Russia ha potuto tranquillamente continuare a vendere le proprie commodity, tra cui gas e petrolio, alla Cina all’india che tra l’altro hanno fatto un buon affare, perché hanno comprato a buon prezzo queste merci. Per non parlare del resto del mondo, che ad esempio importa i fertilizzanti e gli altri prodotti che esporta la Russia, delle armi che continuano a muoversi liberamente dalla Russia verso l’Africa…”
Eppure la Russia sembra aver pagato un prezzo per l’invasione dell’Ucraina e la rottura con l’Occidente: “Oggi è in ritirata su diversi scenari fuori dall’Europa nei quali aveva una posizione di forza: quello più clamoroso è quello siriano dove l’equilibrio esistente fino a settimana scorsa era retto dall’accoppiata tra l’Iran e la Russia stessa, che in Siria ha le basi sia aeree che navali del Mediterraneo. Sicuramente la Russia ha avuto un grosso ridimensionamento, oggi è un paese vassallo della Cina per quello che riguarda l’economia”.
La pace che verrà, secondo Somoza, non sarà una “pace formale”: “Credo che andremo verso uno scenario di tipo coreano. In Corea la guerra non è mai finita, si è tracciata una linea tra i due paesi con una zona di nessuno in mezzo. Quel conflitto non si è mai chiuso, ma di fatto i due paesi hanno potuto andare avanti. Quello che potrebbe capitare con Trump è uno scambio ‘terra per pace’: l’Ucraina dovrà cedere una parte se non tutto quel territorio che è di fatto occupato dalla Russia. In cambio di cosa? Molto difficilmente l’Ucraina entrerà della Nato, molto più probabilmente entrerà nell’Unione europea”.
Il ruolo dell’Europa
Alla domanda sul ruolo giocato proprio dall’Unione Europea nel conflitto, Somoza sottolinea come manchi una politica estera e di difesa comune dei Paesi dell’Unione: “I politici dei singoli Stati si sono mossi in ordine sparso”. Ciò che non è mancato è stato l’invio delle armi agli Ucraini: “L’Ucraina ha ricevuto il meglio degli armamenti occidentali: la Nato in realtà ha combattuto quella guerra non con uomini impegnati in prima linea, ma attraverso le armi che hanno utilizzato gli ucraini”. Insomma, il ruolo giocato dall’Europa e da Paesi come l’Italia nel conflitto è stato quello di fornitori di armi: “Abbiamo svuotato gli arsenali, seguendo la linea che è stata dettata sia dall’Unione Europea sia dalla Nato, ma tutte le ipotesi di mediazione dall’inizio di questo conflitto non sono passate dall’Europa. Sono passate all’inizio dalla Turchia, poi la Cina ha avanzato delle proposte. Addirittura il Brasile ha avanzato altre proposte, ma una proposta europea per la pace non c’è mai stata, poiché l’Europa ha scelto la linea di rifiutare il dialogo con la Russia”.
Secondo Somoza il conto sulla ricostruzione dell’Ucraina lo pagheremo noi: “L’Ucraina dovrà essere ricostruita da zero: prima aveva infrastrutture vecchie, ora non ha praticamente infrastrutture. Forse entrerà nell’Unione Europea ma anche se l’Europa avrà una grande quantità di crediti per la ricostruzione quei crediti quasi sicuramente arriveranno in buona parte da noi”.
Che fine ha fatto la solidarietà?
“Che fine ha fatto la solidarietà con il popolo ucraino?” chiede Gerolamo Spreafico introducendo la seconda parte della serata, dopo la proiezione di un filmato dedicato all’attività in Ucraina delle suore “Sisters of Angels”, impegnate a portare gioia ai bambini nei villaggi colpiti dalla guerra.
“Il mio è un lavoro educativo”, sottolinea Spreafico, “e la mia preoccupazione è spiegare ai ragazzi di oggi che quello che sta avvenendo nel mondo è una grande crisi nella quale noi adulti dobbiamo agire con solidarietà. Credo che questo sia il momento di far nascere un presidio di pace perché dopo questa crisi ci sarà molto da lavorare sulla pace. Gli adolescenti di adesso hanno visto scoppiare una guerra in Europa, poi c’è la guerra a Gaza, c’è la guerra in Siria: si trovano dentro un quadrato in cui di quattro cantoni nel Mediterraneo ce ne sono tre perlomeno che sono incendiati. Il nostro ruolo in questo posto è quello di parlare tra di noi ma poi anche di andare a parlare nelle scuole. Sappiamo che in questo momento abbiamo la responsabilità di educare i ragazzi a questa stagione che si apre, che si preannuncia veramente molto complessa”.
A fare il punto sulla situazione umanitaria è quindi padre Luca Bovio, a partire dalla propria esperienza diretta in Ucraina: “A oggi sul campo non si vedono grandi trasformazioni: purtroppo la linea di confine del fronte è sempre quella con minime variazioni, lunga oltre 1000 – 1200 km da Karkhiv a Kherson. Però il numero delle vittime ogni giorno cresce: ce lo ricordano i media e lo vediamo quando andiamo sul posto. Ogni giorno ci sono centinaia di giovani che muoiono da entrambi le parti prevalentemente soldati e qualche volta anche civili. Dall’altra parte si registra un calo drastico degli aiuti che arrivano: cifre ufficiali fornite dalla Caritas parlano di circa il 60% in meno. Le necessità però non cambiano”.
Emergenza acqua
Padre Luca parla del suo ultimo viaggio in Ucraina, a partire dalla città di Kherson: “A novembre sono stato una volta a sud nella città di Kherson: una città che contava 300.000 abitanti prima dello scoppio della guerra, che è stata occupata per alcuni mesi dai russi e poi liberata. È arrivata a contare solo 20.000 persone, ma oggi si nota un leggero ripopolamento: si parla di 506.000 persone che sono tornate in questa città. I russi si sono ritirati dalla parte opposta del fiume ed è diventata zona di confine, per cui da una sponda all’altra giorno e notte si scambiano colpi di artiglieria. In questo momento in tanti villaggi a motivo della guerra c’è il problema della disponibilità dell’acqua potabile poiché molti grandi magazzini di concimi fertilizzanti prevalentemente chimici utilizzati in agricoltura sono stati colpiti dai bombardamenti o dagli incendi che si sono sviluppati a seguito dei bombardamenti. Così questo materiale viene assorbito dal terreno e inquina le falde acquifere sotterranee. Per questo il parroco di Kherson fa il giro dei villaggi portando l’acqua che attinge dalla fonte della propria parrocchia”.
Emergenza ospedali
Altra realtà drammatica è la condizione degli ospedali. “Ci siamo recati nell’ospedale di un piccolo villaggio: fa davvero impressione per come è stato colpito dai bombardamenti. La caldaia dell’ospedale è stata completamente distrutta da un drone, togliendo quindi il riscaldamento e costringendo a usare i generatori elettrici. Tre delle quattro ambulanze sono state colpite e messe fuori uso. Noi abbiamo portato delle medicine raccolte grazie ai nostri amici, tra cui molti antidolorifici. Il primo piano dell’ospedale è sempre a rischio per via dei bombardamenti, però la sala operatoria è al primo piano. È successo che dopo un’operazione, venendo a mancare la corrente elettrica, gli infermieri hanno dovuto mettersi l’ammalato sulle spalle, scendere le scale e portarlo in camera al piano terra. Questa è la normalità in cui si lavora”.
Il dramma dei bambini
Interviene anche padre Taras, ucraino nella comunità di Monza, che racconta il tentativo di mantenere forte la solidarietà con l’Ucraina dall’Italia e il dramma dei bambini che vivono la guerra nella quotidianità. Racconta dei bambini ucraini che hanno imparato benissimo a distinguere il rumore di un drone da quello di un missile o di un aereo militare. E anche di bambini che al loro arrivo in Italia, nel nuovo appartamento che li accoglie, chiedono per prima cosa dove devono nascondersi al suono. Ne emerge il quadro di un’infanzia terribilmente segnata dalla guerra. “Per questo la nostra solidarietà non dovrebbe fermarsi!”, è l’appello di padre Taras.
Molte le domande del pubblico. Dalle risposte di padre Luca e padre Taras emerge la drammaticità di una situazione in cui i giovani reclutati dall’esercito continuano a morire, in nome dell’ideale di dare la vita per la propria patria. “Questo è il conto che ci presenta ogni guerra, il conto da pagare. Perché i morti non ritornano”, sottolinea padre Luca.
Cristiani divisi
Emerge anche il ruolo complesso giocato dalla religione e dalle diverse Chiese cristiane presenti in Russia e Ucraina, in uno scenario in cui Chiesa ortodossa russa sembra essere diventata, almeno ai suoi vertici, uno strumento della propaganda. Insomma, quello della cristianità divisa al proprio interno in un contesto di guerra è un ulteriore problema che non può che alimentare i conflitti. “In realtà”, sottolineano i sacerdoti, “la gente semplice è lontana dalle divisioni teologiche e politiche delle Chiese: per la maggior parte delle persone che incontriamo, la fede è ciò che permette di non perdere la speranza nel dramma della guerra, anche quando perdono un marito o un figlio”. Conclude padre Luca: “Ritornare al Vangelo e a una fede vera e genuina sicuramente non cambierà la storia del mondo ma può cambiare la storia di una persona”.
L’appello finale rivolto a tutti è a continuare a sostenere la popolazione ucraina, attraverso l’associazione Eskenosen, donando per portare generatori di corrente in Ucraina.