di Francesca Radaelli
Non dimenticarsi delle persone colpite dalla guerra in Ucraina, soprattutto ora che il freddo inverno sta iniziando. È l’appello che l’associazione Eskenosen di Como ha lanciato lo scorso sabato 19 novembre ai monzesi, nel corso dell’evento organizzato nella chiesa di san Pietro Martire, che ha visto Il Dialogo di Monza come media partner. L’hanno chiamata “Winter Challenge” ed è una sfida a tutti gli effetti, per tutti.
Perchè forse tutti esitiamo un po’ ad abbandonare le affollate vie dello shopping monzese, magari di sabato e all’ora dell’aperitivo, per ascoltare un racconto diverso su questo inverno che sta arrivando. Non quello delle nostre città italiane, che in questi giorni si addobbano, e – nonostante i temuti rincari energetici – si illuminano, per le feste natalizie. Ma l’inverno di chi ha poco o nulla con cui scaldarsi ed è costretto a vivere nei seminterrati dei palazzi, dentro a città rese irriconoscibili dai bombardamenti.
Eppure ascoltare questo racconto e guardarne le ‘illustrazioni’ permette di ri-aprire gli occhi su una realtà già quasi dimenticata dai più: alle porte dell’Europa c’è ancora una guerra, che sta continuando e che continua a colpire le persone.
Istantanee di Kiev e Kharkiv
Le immagini spesso raccontano più di mille parole. E a raccontare, sabato scorso, sono state le foto delle città ucraine di Kiev e Kharkiv scattate da padre Luca Bovio appena un paio di settimane fa. Padre Luca è missionario della Consolata a Varsavia e fin dallo scoppio del conflitto si è attivato per portare aiuti alla popolazione ucraina. Le sue fotografie sono le istantanee di due città quasi spettrali: palazzi senza più vetri alle finestre, frantumati dalle onde d’urto dei missili, scuole devastate e saccheggiate dai militari, le cantine in cui la popolazione vive ormai da mesi. Ma anche i terreni di campagna disseminati di mine antiuomo, che rendono impraticabile la coltivazione e pericolosissimo il passaggio. “Una delle richieste che ci sono state rivolte è stata proprio quella di chiedere l’invio di eserciti specializzati per sminare i terreni”, racconta padre Luca.
“Ciò che mi ha colpito profondamente è il fatto di non aver udito una parola di rabbia o di condanna da parte delle persone con cui ho parlato”, continua. “Ma solo ringraziamenti per gli aiuti che abbiamo portato e una richiesta: non dimenticatevi di noi”. Nelle immagini ci sono anche i disegni dei bambini di Kharkiv e di Kiev: immagini di guerra e bandiere ucraine. L’infanzia colpita dalla Storia. “Abbiamo chiesto alla direttrice di una scuola cosa potessimo fare per lei. La sua risposta: far sì che i bambini possano tornare a scuola”.
La quotidianità della guerra
Mentre padre Luca parla si delinea uno scenario da brividi. A partire dal problema concreto dell’energia, che ormai a Kiev viene razionata (ogni quartiere ha diritto a due ore di corrente elettrica al giorno) e dal rischio di black out totale. Ma anche il tremolio che si sente costantemente percorrendo in macchina le strade ucraine: il passaggio continuo dei carri armati ha deformato l’asfalto.
E poi la quotidianità della guerra, o meglio delle persone che continuano ad abitare le città ferite dalle bombe (a Kharkiv è rimasto solo un terzo della popolazione cittadina prima della guerra), della loro dignità e compostezza, anche dopo aver perso casa e lavoro, anche nell’atto di ricevere i pacchi di aiuti portati da Caritas e altre associazioni. “Si trovano raramente famiglie ucraine ‘pure’, spesso nella storia familiare di queste persone si intrecciano origini russe, bielorusse, polacche”, sottolinea padre Luca, come a mettere in evidenza le assurdità delle guerre tra ‘nazioni’.
La challenge: riscaldare la popolazione ucraina
Dopo la testimonianza di padre Luca la parola passa a Chiara Giaccardo e Mauro Magatti, professori universitari alla Cattolica di Milano ma soprattutto fondatori di Eskenosen, che da quindici anni ospita famiglie di rifugiati nella città di Como e che, dallo scoppio del conflitto in Ucraina, ha attivato una serie di ‘challenge’, ossia di sfide rivolte a tutti noi con l’obiettivo di portare aiuto alla popolazione in fuga dalla guerra. A marzo, poche settimane dopo lo scoppio del conflitto, i volontari dell’associazione sono arrivati in Polonia per aiutare alcune delle persone rifugiate a Varsavia a raggiungere l’Italia. In quel momento è avvenuto l’incontro con padre Luca ed è iniziata la collaborazione.
“Purtroppo la risposta delle persone dopo il lancio della Winter Challenge è stata più bassa rispetto a quella di questa primavera”, sottolinea Mauro Magatti. “L’obiettivo è raccogliere donazioni per comprare stufe in ghisa e pannelli in legno per chiudere le finestre dei palazzi frantumate dai bombardamenti. Purtroppo in Ucraina l’inverno è solo iniziato”. E c’è il rischio che l’energia per riscaldarsi venga a mancare.
“Riscontriamo una scarsa reazione delle persone sul tema, rispetto alla mobilitazione che c’è stata all’inizio del conflitto”, gli fa eco Chiara Giaccardo. “Ma mi chiedo: in quanti moriranno di freddo in Ucraina quest’inverno? Credo che dovremmo svegliarci dal torpore e guardare con più attenzione a queste persone, che hanno visto la loro vita stravolta dalla guerra. Purtroppo l’attenzione mediatica sta calando, andiamo verso una sorta di anestesia emotiva che è pericolosissima: intanto in Ucraina sta arrivando il gelo dell’inverno”. Chiara Giaccardo ricorda poi che l’esperienza di questi anni, pandemia in primis, ci ha mostrato che siamo tutti legati e che nella famiglia umana ‘nessuno si salva da solo’, come dice Papa Francesco. “Anche consapevoli di questo, a Natale possiamo scegliere di non investire nei consumi, ma nel dono e nella solidarietà”.
L’impegno nella relazione e nell’informazione
“Le iniziative di Eskenhosen, le challenge di raccolta fondi ma anche l’accoglienza dei profughi, trovano un senso nella relazione con queste persone”, ricorda Mino Spreafico. “Le relazioni sono spesso faticose: spesso gli ucraini non vogliono aprirsi, rifiutano di imparare l’italiano. Eppure vanno coltivate e costruite, coinvolgendo magari anche le persone più giovani. Penso agli adolescenti disorientati dopo la pandemia che in queste relazioni potrebbero ricevere stimoli importanti”.
“Spesso ci sentiamo impotenti di fronte a tragedie come le guerre”, sottolinea padre Luca, “ma anche una sola goccia nel mare, insieme ad altre, può creare qualcosa di importante”.
In conclusione interviene il giornalista Fabrizio Annaro di Caritas, direttore del Dialogo di Monza, che sottolinea il valore del racconto di padre Luca: “Sento di essere stato informato da questo racconto, in modo più completo rispetto al racconto di un minuto e mezzo che viene dai TG”. E sottolinea il valore anche culturale dell’azione di Caritas, facendo riferimento alla recente organizzazione a Monza dell’incontro con il giornalista Nello Scavo. “Come tutto il Terzo Settore, Caritas non deve essere vista solo come un luogo di distribuzione degli aiuti, ma anche come un luogo di promozione della cultura e dell’informazione approfondita. Non un’informazione da consumare nel giro di qualche secondo, ma un racconto che stimoli in profondità la coscienza del lettore”.