di Chiara De Carli
E mentre il mondo intero discute sulla vittoria di Trump, poche ore prima veniva a mancare Umberto Veronesi. Il noto medico chirurgo che ha dedicato la sua vita alla ricerca per la lotta contro il cancro, è scomparso l’8 novembre, all’età di 91 anni, in via Palestro a Milano.
Tante le posizioni polemiche che possono essere assunte nei confronti di questo uomo, dalla personalità eclettica, dalle affermazioni a volte opinabili, ma di certo non si può evitare di parlare degli enormi progressi che ha consentito di fare alla scienza e alla scienza applicata alla medicina. Ricordo ancora, quando al secondo anno del corso di laurea in Infermieristica, quello che un docente ci disse, in occasione della lezione riguardante il carcinoma alla mammella: “è merito all’équipe del professor Umberto Veronesi, se oggigiorno siamo arrivati a questo livello”. Quale? Alla battaglia possibile per la sconfitta di questo male.
La creazione di équipe multidisciplinari è stata una dei suoi principali strumenti per questa lotta. In particolare, per il tumore al seno, rendendo possibile passare da un’asportazione completa della ghiandola (mastectomia totale, ndr), alla rimozione parziale (quadrantectomia, ndr), con una eventuale ricostruzione plastica del seno. Fondamentale fu l’individuazione del linfonodo sentinella, uno dei colpevoli di questo carcinoma, così come la semplice ma indispensabile formazione alla prevenzione, con l’autopalpazione del seno.
Ed è proprio in questo impazzare del caos mediatico, che la scomparsa di questo uomo rischia di passare in secondo piano. Umberto Veronesi che era uno scienziato, un ricercatore, un medico, ma soprattutto un padre, che ha insegnato ai propri figli “La tolleranza verso gli altri e il rispetto del pensiero di tutti, l’amore, la curiosità, la ricerca. Sono tutte cose che noi abbiamo cercato di ereditare da lui”, ha raccontato poi la figlia Giulia. Il suo ultimo desiderio: “morire nella sua casa con tutti i suoi cari intorno e così è stato, è mancato tra le nostre braccia”. Ha trascorso infatti le ultime ore, nel tepore domestico, circondato da figli e nipoti. Questa è l’immagine con cui un oncologo, uno di quelli specialisti che più di tutti non sa accettare la morte corporale, se ne va.