“Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden, Adelphi

di Carlo Rolle

Buongiorno, amici lettori, oggi vi propongo Un altro tempo, un libro di poesie di Wystan Hugh Auden (1907-1973), un poeta che guardò al proprio tormentato tempo con un insieme di accorata partecipazione e folgorante nitidezza linguistica e formale. Fu pubblicato da Adelphi nel 1987

Ma come potrei parlare di un libro di poesie, cioè di un libro in cui il linguaggio assurge alla più alta concisione e precisione possibile, senza risultare inadeguato al compito? Mi limiterò allora a citare e commentare alcuni versi tratti da una delle poesie di questo libro. La poesia “In memory of W.B. Yeats” si apre con immagini dell’inverno in una città vuota e deserta:

 

“In memory of W.B. Yeats”, versi iniziali

“He disappeared in the dead of winter:

the brooks were frozen, the airports almost deserted,

and snow disfigured the public statues;

the mercury sank in the mouth of the dying day.

O all the instruments agree

the day of his death was a dark and cold day …”

 

Siamo nel gennaio del 1939, e l’inverno di questa poesia non è soltanto quello della meteorologia: un lungo inverno dello spirito e della compassione si annuncia per l’Europa. La morte del poeta Yeats sembra ad Auden il presagio di un gelo e di un’oscurità che calano sul mondo nei mesi che precedono la Seconda Guerra Mondiale.

Ma poi, nel seguito della poesia, Auden ci dice anche un’altra cosa: ci dice che in ogni poeta vive una lingua. Ogni lingua si perpetua di generazione in generazione, di secolo in secolo, perché i poeti la fanno vivere, disvelandone sempre nuove possibilità, descrivendo cose delle quali nessuno fino ad allora nessuno aveva saputo parlare, anzi: cose che nessuno ancora sapeva pensare, perché non poteva descriverle.

Ogni grande poeta rinnova la lingua nella quale scrive, e nello stesso tempo la conserva, la consegna al futuro. Ora, una lingua è qualcosa che trascende l’effimera durata di una vita umana. Persino il tempo, che tutto dissolve, il tempo che non si cura del valore, né dell’innocenza, né della più abbagliante bellezza, ha soggezione della lingua. Perché una lingua è più forte del tempo, almeno finché ci saranno i poeti.

E proprio questo dice Auden nelle ultime strofe di questa poesia, che sono semplici quartine, come quelle di una filastrocca per bambini. In esse fa capolino l’ironia British di Auden, ma anche la commozione per la tragedia che si annunciava e la rivendicazione del ruolo del poeta, la straordinaria creatura attraverso la quale può vivere una lingua.

 

“… Time is intolerant

of the brave and innocent,

and indifferent in a week

to a beautiful physique,

 

worships language and forgives

everyone by whom it lives;

pardons cowardice, conceit,

lays its honours at their feet.

 

Time that with this strange excuse

pardoned Kipling and his views,

and will pardon Paul Claudel,

pardons him for writing well.

 

In the nightmare of the dark,

all the dogs of Europe bark,

and the living nations wait,

each sequestered in its hate;

 

intellectual disgrace

stares from every human face,

and the seas of pity lie

locked and frozen in each eye.

 

Follow poet, follow right

to the bottom of the night,

with your unconstraining voice

still persuade us to rejoice;

 

with the farming of a verse

make a vineyard of the curse,

sing of human unsuccess

in a rapture of distress;

 

in the deserts of the heart

let the healing fountain start,

in the prison of his days

teach the free man how to praise.”

 

Traduzioni

Aggiungo la traduzione di Nicola Gardini dei versi citati:

 Versi iniziali:

 

“Disparve nel pieno dell’inverno:

i ruscelli erano gelati, gli aeroporti quasi deserti,

e la neve sfigurava le statue pubbliche:

il mercurio sprofondava nella bocca del giorno morente.

Sì, tutti gli strumenti concordano:

il giorno della sua morte era un giorno scuro e freddo …”

 

Versi finali:

 

Il Tempo è insofferente

con l’ardito e l’innocente,

e insensibile in un giorno

ad un corpo tutto adorno,

 

il linguaggio onora e approva

chi gli dona vita nuova;

vanità e viltà perdona,

finalmente le incorona.

 

Se con questa strana scusa

Kipling perdonò e la musa

di Claudel perdonerà

di un tal genio ha già pietà.

 

Nell’ora dell’incubo atra

ogni can d’Europa latra,

ogni viva gente aspetta

nel suo odio tutta stretta;

 

l’onta intellettuale osserva

da ogni viso uman proterva,

e negli occhi addolorati

mari covano ghiacciati.

 

E, poeta, tu, sprofonda

Nella tenebra più fonda,

la tua voce sempre voglia

liberarci d’ogni doglia;

 

messi i versi tuoi a coltura,

rendi vigna la sventura,

la miseria umana in canto

volgi estatico nel pianto;

 

nei deserti d’ogni cuore

apri il fonte guaritore,

chi, dei giorni schiavo, gode

libertà muovi alla lode.”

 

Ecco, amici lettori: una poesia per il tempo della guerra, che tenta nuovamente di ghermire l’Europa. Eppure, anche in un tale tempo può vivere la poesia, che conforta la vita dello spirito e prepara il futuro.

Attiro infine la vostra attenzione sul quadro di Pieter Brueghel il Vecchio che appare sulla copertina del libro. L’immagine scelta dall’editore fa riferimento alla poesia che abbiamo visto. L’aratore tira dritto e la nave prosegue il suo viaggio, mentre Icaro cade. Il mondo continua anche quando a morire è un grande poeta, un grande artista, una persona eccezionale. Nel quadro, l’aratore non porta vesti da contadino. Forse perché Brueghel voleva raffigurare un uomo tipico della società mercantile in cui lui viveva. Invece Icaro è isolato, lontano, come l’artista nella società.

 

"Un altro tempo", poesie di Wystan Hugh Auden
In copertina: Pieter Bruegel il Vecchio, “La caduta di Icaro”, Musée David et Alice van Buren, Bruxelles.

 

 

Per chi fosse interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:

1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce

2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil

3) “I Vangeli gnostici”, a cura di Luigi Moraldi

4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth

5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij

6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal

7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence

 

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