di Giacomo Orlandini
Dopo la vicenda di Mario Balotelli, l’iniziativa promossa lo scorso weekend è una vera e propria pallonata al razzismo, in risposta a una settimana negativa per il mondo del calcio italiano.
Sette giorni dopo l’insulto razzista contro un ragazzino di 10 anni, le squadre Aurora Desio e Sovicese sono tornate in campo per dire no alle discriminazioni. Il precedente è stato denunciato sulla pagina Facebook dalla società sportiva brianzola Aurora Desio. Secondo quando riportato, nel corso di un incontro contro i pulcini della Sovicese giocato una settimana fa a Lissone, una mamma della tifoseria ospite ha apostrofato un bambino dell’Aurora con un insulto razzista. Il bambino, con grande forza d’animo, finge indifferenza, incassa e continua a correre dietro il pallone. A fine partita riferisce quelle parole al mister. “Crediamo serva una decisa azione di sensibilizzazione nei confronti dei genitori — spiega la dirigenza dell’Aurora — dobbiamo costruire una nuova cultura sportiva e un nuovo modo di tifare allo stadio partendo proprio dai bambini”.
L’opportunità è stata offerta dal calendario. Ad affrontarsi, infatti, questa volta sono stati i ragazzi della categoria Juniores. Tutti insieme, prima della partita, i giocatori si sono fatti fotografare con la faccia dipinta di nero e uno striscione con la scritta “VAR-Vietato Ai Razzisti”. Una delegazione della Figc, insieme ai dirigenti delle rispettive squadre, ha incontrato i genitori del bambino vittima dell’insulto, al quale è stata regalata la maglia della Nazionale italiana di calcio. Il calcio d’inizio è stato affidato al 17enne senegalese del Melzo insultato e picchiato la scorsa settimana durante una partita di calcio. Questi sono solo due degli episodi a sfondo razziale accaduti nel calcio italiano negli ultimi giorni.
Un calciatore di seconda categoria originario del Senegal, da 15 anni in Italia, è stato squalificato per 13 giornate dopo aver reagito ad un insulto razziale proferito nei suoi confronti da un avversario. L’episodio, occorso nel bergamasco, ha preceduto i cori razzisti di Roma-Napoli e il caso Balotelli.
Durante l’undicesima giornata del campionato di serie A, presso lo stadio veronese Bentegodi si gioca Hellas Verona-Brescia. Da un settore della curva veronese si leva un coro di insulti razzisti contro l’attaccante del Brescia in azione. Al 54’minuto Balotelli, perde la pazienza: interrompe l’azione di gioco che lo vedeva protagonista e calcia violentemente il pallone verso gli spalti. Intenzionato ad abbandonare il campo, viene dissuaso dai compagni di squadra e dagli avversari. La partita viene interrotta dall’arbitro Mariani e, dopo l’annuncio dello speaker, il gioco riprende.
Il razzismo, che oggi dovrebbe essere motivo di imbarazzo e vergogna, nel calcio italiano viene sottovalutato e fatto passare in secondo piano. Il caso di Verona ne è l’esempio. Il primo grande passo per risolvere un problema è ammettere la sua esistenza: se ogni giornata di Serie A si verifica un caso, il problema esiste e va denunciato. Nonostante la Figc si stia impegnando duramente per sconfiggere il morbo della discriminazione, gli insulti a carattere razziale sono sempre più presenti nel calcio a tutti livelli. Ogni settimana, tanti ragazzi di colore, dai più piccoli ai più grandi, devono fare i conti con la propria dignità se non vogliono rinunciare alla passione per il gioco del calcio. La senatrice Liliana Segre ha dichiarato scandalizzata: “Ancora guardano i colori delle persone?”
Col razzismo non si scherza, bisogna essere severi. Gli slogan sul rispetto e fair play della Fifa e della Figc non bastano più. Sono messaggi concettuali, ma bisogna anche agire e applicare pene più rigide. Dagli Stati Uniti si può trarre una lezione preziosa. La lotta al razzismo fa parte della storia dell’America, non solo passata ma anche presente. Lo sport gioca un ruolo di primo piano: gli atleti non perdono occasione di esporsi dal vivo e sui social per sensibilizzare sulla questione. La lega di basket americana, in particolare, ha sempre difeso la propria multiculturalità e l’espressione della libertà dei propri giocatori punendo duramente ogni caso di razzismo. Il problema va risolto secondo il modello NBA: pene severe e nessuna seconda possibilità. I giocatori, vista la loro forza mediatica devono esporsi pubblicamente e le società devono radiare a vita i soggetti razzisti e condannare all’unanimità ogni gesto. Infine gli stessi tifosi, quelli che amano davvero lo sport che seguono, devono disconoscere coloro che mettono a rischio la bellezza di questo ambiente.
Nessuno nasce odiando un’altra persona per il colore della sua pelle, per la sua storia o per la sua religione. Le persone imparano a odiare ma, se possono imparare a odiare, gli si può insegnare l’amore che, sicuramente, arriva più facilmente al cuore dell’uomo.