di Luigi Picheca
30 settembre 1948: esce il primo numero di Tex Willer, un fumetto ispirato ad un ranger del Texas, esempio di eroe positivo, nervi d’acciaio e grande risolutezza. Tex diventerà presto uno dei fenomeni editoriali del settore e avrà un’enorme ed inaspettato successo in Italia.
Proponiamo a questo proposito l’articolo di un nostro redattore, Luigi Picheca, che da bambino è stato un grande appassionato di questo fumetto.
Sono cresciuto sentendomi dire: “Non piangere, sei un ometto!”. Ho seguito questi consigli, forse un po’ troppo alla lettera e mi sono sempre controllato nel mostrare i miei sentimenti e le mie emozioni. Crescendo mi sono appassionato a un fumetto molto celebre: “Tex Willer“, il cui personaggio, virile e determinato, non dimostrava facilmente le proprie emozioni, proprio come me e pensavo: “Ecco, sono sulla strada giusta.”
Poi è stata la nostra stessa società a convincermi e a creare quella corazza che tante persone come me si sono sapute indossare per estraniarsi da quei coinvolgimenti emotivi cui la tv e i giornali ci sottopongono continuamente. Una corazza che ci difende da tante emozioni ma anche ci separa dalla vita, una vita che senza emozioni ci rende sterili nei sentimenti.
Ci voleva una malattia tanto crudele e tosta per rendere il mio cuore aperto e tenero, così sensibile e capace di “sentire” le emozioni che ci stanno intorno, delle emozioni forti che ci trapassano il cuore ormai reso tenero.
Ho perso quelle sovrastrutture psicologiche che mi ero costruito così bene e che mi permettevano di non lasciarmi coinvolgere dai fatti che la vita ci pone davanti anche nelle finzioni cinematografiche, quelle che ci raccontano l’amore e anche le storie vere, opportunamente e magistralmente traslati sulle tante pellicole che ci piace guardare.
Quello che non immaginavo di certo era di ritrovarmi a piangere davanti al televisore per un film o per dei fatti di cronaca, per una canzone il cui testo o i ricordi ad essa associati mi toccano quel cuore tenero che mi ritrovo ad avere a 60 anni suonati.
In fondo non mi dispiace di avere aperto il mio cuore a questa tempesta di emozioni, ho perso quell’autocontrollo così ben congegnato, ma sono contento di sentire le lacrime accarezzare le mie guance, a volte anche copiosamente, ma senza la paura che mi veda qualcuno. Le mie emozioni sono solo mie ho il diritto di viverle, chiunque abbia intorno.
È stata la conquista migliore che la SLA mi abbia permesso di avere, certo non posso esultare ma almeno il mio senso dell’ottimismo ci trova qualcosa di bello in questa malattia che mi accompagna da nove lunghi anni.
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