di Marco Riboldi
Pensare, ragionare, cercare di capire.
Sono verbi lontani dalla cronaca politica attuale, troppo urlata, troppo impegnata ad occupare spazi di comunicazione più che a cercare qualcosa da comunicare. Il libro “RESPUBBLICA” (ed. Castelvecchi) di Giampiero Marrazzo, giornalista non ancora quarantenne (da non confondere con il fratello ex presidente della regione
Lazio e altrettanto bravo corrispondente RAI), ma già affermato e con un curriculum di tutto rispetto, ci aiuta a compiere un’opera di approfondimento, facendo un passo indietro nel tempo e andando a scandagliare le riflessioni di sei personaggi politici della Prima Repubblica.
Ci si chiederà: ma che utilità possono avere oggi le parole di questi sei ex politici (De Mita e Cirino Pomicino della D.C., Occhetto e Macaluso del P.C.I., Signorile e Intini del P.S.I.) ?
Risponderei che l’utilità è duplice.
Innanzitutto ci sono molte domande che, sapientemente poste e strutturate dall’Autore, stimolano chi risponde a fornire informazioni preziose per chi non ha vissuto “al di dentro” alcuni momenti della nostra storia degli ultimi decenni. E trattandosi di personaggi che avevano ruoli di primo piano nella Prima Repubblica, tali informazioni riguardano questioni che si possono ben definire storiche.
Ne cito, un po’ a caso, alcune tra quelle che più mi hanno colpito: la fine del P.C.I., gli anni della inchiesta “Mani Pulite” e delle fine del sistema dei partiti che avevano animato la vita politica italiana per decenni, la tragica vicenda del terrorismo, l’omicidio di Aldo Moro…
Come si vede, tutte questioni che rimangono non solo nelle pagine dei libri di storia, ma che aiutano anche a capire l’attualità e che forse anche qualcuno degli attuali protagonisti farebbe bene ad approfondire.
Ma vi é poi almeno un altro motivo di interesse e consiste proprio nel confronto con le argomentazioni che gli intervistati sviluppano.
La Prima Repubblica, troppo frettolosamente archiviata da molti in una galleria di errori e di malversazioni, dimenticando quel che in quegli anni è stato costruito e consegnato al futuro, era il tempo della riflessione politica forte.
Si parlava spesso in passato del primato della politica, che qui emerge in modo netto nel suo significato più preciso.
Si tratta di pensare la politica connettendola con le convinzioni profonde, con una appartenenza ideale ed ideologica che non era, come si ritiene oggi, un elemento di debolezza, ma un punto di forza per la costruzione di una strategia politica di respiro un po’ più ampio rispetto alle scadenze immediate.
In altri termini, sentiamo dietro le parole dei protagonisti dell’epoca una cultura politica (più culture politiche differenti) capace di porsi domande non solo legate alla cronaca e di trovare risposte che, giuste o sbagliate che si rivelino (perché la politica non è scienza esatta) scommettono comunque in grande.
Sullo sfondo una ricerca del consenso che non consiste solo nel rincorrere gli umori degli elettori, ma nel costruire insieme un percorso condiviso di ricerca del bene comune.
Alla fine possiamo parlare di un libro nostalgico?
Direi proprio di no e non solo per ragioni anagrafiche dell’autore, ma anche perché vi è la piena consapevolezza che gli enunciati propositi di politica “alta” non sempre sono stati attuati durante il periodo trattato.
In ogni caso, ci troviamo di fronte ad una serie di riflessioni dalle quali ciascuno può trarre motivo di ulteriori approfondimenti, in ciò aiutato dalla bella prefazione del prof. Gianfranco Pasquino e dalla postfazione di Vittorio Sgarbi.
Il libro riuscirà sicuramente interessante sia a chi ricorda i sei personaggi che hanno trovato un autore, sia a chi, più giovane, scoprirà che le idee quando hanno spessore valgono sempre la pena di un po’ di attenzione.
Quanto poi al confronto tra le riflessioni di ieri e le abitudini dei protagonisti odierni…preferisco lasciare il giudizio a chi seguirà il mio consiglio di leggere il libro.