di Francesca Radaelli
A Milano ha fatto tutto esaurito, registrando grande successo di pubblico e recensioni entusiastiche della critica. Prodotto dal Teatro dell’Elfo Puccini, diretto da Sandro Mabellini e interpretato da un applauditissimo Angelo Di Genio, ‘Road Movie’ approda ora al Teatro Binario 7 di Monza, dove sarà in scena sabato 27 febbraio e domenica 28 febbraio. Tratto dal testo scritto dall’americano Godfrey Hamilton nel 1995, lo spettacolo è ambientato negli Stati Uniti degli anni Novanta e racconta di Joel, gay trentenne dalla vita sregolata, e della sua avventura coast to coast durata cinque giorni per rincontrare “il suo amore”, Scott. Un viaggio nel corso del quale farà i conti con la paura di una malattia, l’Aids, con la paura della morte, ma anche e forse soprattutto quella di aprirsi davvero all’amore.
Unico attore in scena, Angelo Di Genio non si limita a vestire i panni del protagonista, ma riesce a calarsi in tutti i personaggi che Joel incontra durante il suo viaggio, in una performance che, a giudizio pressoché unanime dei critici, lo colloca tra gli attori più promettenti della sua generazione. Diplomato alla scuola Paolo Grassi di Milano, dopo il Premio UBU conquistato con ‘History Boys’, Angelo ha ottenuto un successo personale come interprete di Biff in ‘Morte di un commesso viaggiatore’. In questa intervista al Dialogo di Monza ci racconta ‘ Road Movie ’, testo a cui è legatissimo professionalmente e non solo.
Il progetto da cui nasce questo spettacolo è in larga parte merito tuo. Come è avvenuto l’incontro con il testo di Hamilton e perché lo hai scelto?
A farmi conoscere il testo è stato Gian Maria Cervo, il drammaturgo che nel 2013 ha organizzato a Viterbo il festival internazionale ‘I quartieri dell’arte’ e ha tradotto in italiano il copione di Hamilton, dopo averlo visto rappresentato al Fringe Festival di Edimburgo nel 1995, anno in cui proprio quello spettacolo fu decretato vincitore del festival. Quando me lo ha presentato, subito alla prima lettura il testo ha avuto un effetto immediato su di me, è stato come se mi si muovessero le farfalle nello stomaco, ho provato una sensazione simile a quando ti innamori.
Che cosa ti ha ‘folgorato’?
In Road Movie ho ritrovato molti aspetti di una vita che io stesso ho potuto vedere da vicino, che ho visto muoversi intorno a me, anche a Milano, la città in cui ho vissuto per molto tempo. Il testo ha tematiche che non riguardano solo gli anni Ottanta e Novanta negli States, ma anche problematiche ancora presenti ai giorni nostri. È stato scritto in un’epoca in cui in America si affrontava il tema dell’Aids, tema che in Italia a mio avviso non è ancora stato affrontato da testi teatrali capaci di accendere i riflettori non tanto sugli aspetti più crudi della malattia, quanto piuttosto sulla paura che quella malattia suscita. Una paura capace di condizionare pesantemente i rapporti sentimentali, e sociali. Come accadrà a Joel, il protagonista di Road Movie, che è una persona molto stressata dal lavoro, per certi versi un po’ cupa, spinta dalla società a pensare quasi unicamente a se stesso, a non cercare una felicità nella condivisione con gli altri. La sua vita però è destinata a cambiare, in seguito all’incontro con Scott.
Tema dello spettacolo è il viaggio attraverso l’America compiuto dal protagonista, un viaggio ‘on the road’ che passa attraverso una serie di incontri che segnano le tappe del percorso. Eppure tu sei l’unico attore in scena, interprete di tutti i personaggi…
Esattamente. Lo spettacolo si presenta come un monologo ‘atipico’, i personaggi principali sono cinque, cui se ne aggiungono altri minori all’interno dei dialoghi. Io mi divido tra tutte queste ‘anime’. Non ci sono grossi cambiamenti d’abito o altre trasformazioni esteriori, ma è piuttosto tramite piccoli espedienti mimici, un gesto, un tono vocale diverso, che cerco di raccontare al pubblico i dialoghi tra i vari personaggi. Uno di questi è Scott, il ragazzo di cui Joel si innamora, ma sul palco prendono forma, per esempio, anche gli incontri di Joel con due madri che hanno perso i figli per colpa dell’Aids o della tossicodipendenza, Uno dei personaggi che più mi hanno colpito nel cuore è proprio uno di questi, la figura della madre che distribuisce preservativi all’interno di un locale gay, a un mese dalla morte del figlio per la malattia.
Una performance applauditissima, la tua. Ma anche molto impegnativa …
Un vero e proprio tour de force! Il Times ha definito il testo un’esperienza ‘gloriosa’. E lo è: per il pubblico, i personaggi e l’attore. È veramente un viaggio a tutto tondo. A livello geografico, da New York a San Francisco, passando per i vari stati, descrivendoli e cercando di farli vedere anche al pubblico, ma anche un viaggio interiore per Joel, che lo condurrà a cambiare il proprio modo di rapportarsi alle persone. Io cerco di impersonare questo viaggio, aiutato dalla scenografia, essenziale ma efficace, dal gioco delle luci e anche dalla musica, che rappresenta un’altra voce dello spettacolo.
Infatti sei accompagnato da un musicista, Antony Kevin Montanari, al violoncello e al piano. Qual è il ruolo che riveste la musica sul palcoscenico?
Non è una musica di sfondo o di sottofondo ma una voce che racconta: il violoncello racconta il carattere più intenso e carnale del rapporto tra Joel e Scott, il pianoforte la dimensione più romantica, leggera. Tutti i rimandi sono a musiche di quegli anni, dalla versione acustica di YMCA ai Pink Floyd, fino alle musiche originali scritte da Daniele Rotella, un musicista di Perugia. La musica non era presente nella messa in scena originaria, fa parte dell’allestimento che abbiamo voluto predisporre noi, anche attraverso una serie di scelte registiche mirate ad adattare il testo a un pubblico italiano, pur mantenendo molto forte l’evocazione dei grandi paesaggi degli States, dal Texas all’Arizona.
Quell’America è così distante da noi? Qual è il rapporto del testo di Hamilton con l’attualità?
Diciamo che il testo è ambientato negli anni Novanta ma potrebbe benissimo descrivere situazioni italiane del 2016. Sia a livello di mentalità – basti pensare al radicamento di un certo tipo di religione come freno alla maturazione affettiva dei giovani – sia per quanto riguarda il problema Aids.
In che modo il teatro può essere usato per sensibilizzare su questo tema? In che misura avete voluto sottolineare le problematiche sociali all’interno di questo spettacolo?
Il testo in sé contiene situazioni e personaggi funzionali in questo senso, a partire proprio dalla figura della madre che distribuisce preservativi a un mese dalla morte del figlio per la malattia. Però la cosa che mi piace molto di Road Movie è il fatto che non analizzi la malattia nel suo evolversi fisico, piuttosto l’impatto che essa ha sui sentimenti che legano le persone, sui rapporti interpersonali, così come la connessione tra la paura di amare e la paura di morire, di ammalarsi nel momento in cui si fa l’amore.
Hai scelto di collaborare con la LILA (Lega per la lotta all’Aids) e di proporre lo spettacolo alle scuole: perché in Italia è necessario parlare di Aids, anche a teatro?
Perché è una malattia che esiste e continua a provocare morti nel mondo (i dati parlano di 39 milioni di persone morte per malattie legate al virus dell’HIV, ed è un dato che ho deciso di ricordare sistematicamente al pubblico, al termine di ogni mio spettacolo) e di cui la maggior parte dei giovani conosce poco o nulla. I ragazzi non sanno la differenza tra virus e malattia per esempio, non comprendono l’importanza di sottoporsi al test. Lo spettacolo vuole aiutare a ricordare che qualcuno ha sofferto per l’Aids e a capire come insegnare ai figli a prevenire. Ho voluto fortemente assegnare un ruolo educativo allo spettacolo, proprio perché è un tema che mi ha toccato da vicino. Conosco diverse persone sieropositive: convivere col virus non è facile, anche per una sorta di rifiuto che la società oppone verso i malati e la malattia. E spero che lo sviluppo di una nuova sensibilità su queste tematiche possa passare anche attraverso questa bella storia d’amore di 15 anni fa: la storia di due ragazzi che, pur amandosi, devono lottare per potersi amare.
Lo spettacolo sarà in scena al teatro Binario 7 di Monza sabato 27 febbraio alle ore 21.00 e domenica 28 febbraio alle ore 16.00 e ore 21.00
Fotografie di Manuel Scrima