di Roberto Dominici
Come ho avuto modo di evidenziare in precedenti articoli, i virus non sono solo macchine biologiche capaci di nuocere o mettere in pericolo la vita degli esseri viventi, uomo compreso, con le epi/pandemie come quella che stiamo tutti vivendo causata dal coronavirus SARS COV2. Il successo evolutivo dei virus non è legato solamente alla loro capacità di distruzione degli organismi in cui si installano.
Nella storia della vita sul nostro pianeta, nel corso dell’evoluzione, i virus hanno svolto numerose e importanti funzioni. Per esempio: la placenta che è un organo che collega il feto in sviluppo alla parete uterina per consentire l’assorbimento dei nutrienti, la regolazione termica, l’eliminazione dei rifiuti e lo scambio di gas attraverso la fornitura di sangue della madre, per combattere l’infezione interna e per produrre ormoni che supportano la gravidanza, è il prodotto evolutivo dell’integrazione di frammenti di genoma virale nel genoma di lontanissimi nostri antenati mammiferi, avvenuta oltre 100 milioni di anni fa.
In questa prospettiva è molto interessante il fatto che il nostro genoma è costituito per un 40% da retrotrasposoni che sono frammenti di DNA in grado di spostarsi e di inserirsi in zone diverse del genoma. Essi si spostano grazie ad un intermedio a RNA, tramite l’azione dell’enzima trascrittasi inversa, e furono per la prima volta identificati da Barbara McClintock circa 50 anni fa.
I retrotrasposoni chiamati anche comunemente jumping genes o geni saltellanti sarebbero degli indicatori della complessità del genoma e le particolari interazioni di tali elementi genetici con il DNA degli eucarioti, potrebbero aver avuto un importante ruolo nell’evoluzione di questi ultimi. Una particolare classe di retrotrasposoni é rappresentata dai retrovirus endogeni che costituiscono dall’8 al 10% del nostro genoma, sequenze genetiche virali che hanno trovato “rifugio” nel DNA, nel corso del nostro passato evolutivo. Questi retrovirus non sono più capaci di causare infezioni, ma svolgono altre funzioni non ancora note.
Secondo uno studio statunitense dell’Istituto Feinstein per la ricerca biomedica, sembra che questi retrovirus possano, attivandosi, avere un ruolo nel deterioramento cognitivo, in particolare nella perdita di memoria. Gli animali, in cui i retrovirus endogeni vengono attivati nel cervello e precisamente nell’ippocampo (che possiede un ruolo determinante nella formazione della memoria), mostrano iperattività e deficit dell’apprendimento. L’attivazione dei retrovirus induce una risposta infiammatoria mediata da una proteina chiamata Proteina di segnalazione antivirale mitocondriale, una proteina essenziale per l’immunità innata antivirale (MAVS). Spegnendo questa proteina si riducono i danni indotti.
Come sempre occorre molta cautela nel tradurre questi dati dai roditori all’uomo, ma negli esseri umani il cancro o l’infezione da HIV (che è un retrovirus), sono associati a declino cognitivo ed all’attivazione dei retrovirus endogeni. Questi ospiti del nostro genoma potrebbero quindi essere un bersaglio terapeutico da considerare in futuro. Queste osservazioni ci devono spingere a guardare in modo nuovo il rapporto uomo-virus in cui alla netta contrapposizione si sostituisce un modello di “compromesso vitale” coesistenza in “equilibrio” tra aggressione e convivenza, tra pericolo e vantaggio.
Come ha affermato di recente Guido Silvestri, virologo che lavora negli USA ed uno dei massimi esperti di HIV, “bisogna smettere di riversare inappropriate categorie morali sui fenomeni biologici permettendo alla parte razionale della nostra mente la lettura del meraviglioso libro della natura con le sue mirabili leggi”. Considerando che questa pandemia non è la prima né, purtroppo, l’ultima è un dovere etico dell’uomo cambiare rotta e ricominciare a rispettare seriamente l’unico luogo in cui vive evitando così di essere fonte planetaria di ulteriori disastri.
David Quammen nel suo libro del 2012, Spillover (L’evoluzione delle pandemie), ha profeticamente scritto: “abbiamo violato, e continuiamo a farlo, le ultime grandi foreste e altri ecosistemi intatti del pianeta, distruggendo l’ambiente e le comunità che vi abitavano. […] Uccidiamo e mangiamo gli animali di questi ambienti. Ci installiamo al posto loro. […] Esportiamo i nostri animali domestici, che rimpiazzano gli erbivori nativi. Le circostanze ambientali forniscono opportunità per gli spillover. L’evoluzione le coglie, esplora le potenzialità e dà gli strumenti per tramutare gli spillover in pandemie”.