“Un sogno in rosso”, di Alexander Lernet-Holenia, Adelphi

di Carlo Rolle

Buongiorno, amici lettori, vi presento un altro libro della collana “Biblioteca” di Adelphi, non fra i più noti: Un sogno in rosso. La casa editrice Adelphi ha pubblicato già una decina di romanzi di Alexander Lernet-Holenia (1897 – 1976), scrittore, drammaturgo, poeta e saggista viennese; vorrei darvi un’idea dei suoi originali libri cominciando da questo.

 

L’ambiente e i personaggi

Il primo capitolo ci introduce ai personaggi principali del romanzo e suscita in noi alcuni interrogativi.

Siamo in Polonia, nel 1938, l’anno in cui Lernet-Holenia scrisse questo libro. Nel salone del castello di Rafalówka il conte Adam Chlodowski passeggia avanti e indietro, come fa ogni giorno da alcuni anni, davanti alle finestre aperte, che guardano verso est. Oltre le colline della Galizia, vi sono quelle della Volinia, poi pianure e poi la steppa russa, sempre più vuota, fino all’Asia, fino alla Mongolia e ancora oltre. L’aria sembra giungere da spazi sconfinati, senza montagne che la trattengano: è come se il conte s’illudesse di fiutare un qualche cambiamento in arrivo da est: un pensiero lo tormenta, lo ossessiona.

La servitù del castello è in parte costituita da emigrati, cioè da aristocratici russi fuggiti dalla Rivoluzione d’Ottobre: l’ex generale di cavalleria Pleve ora fa il cocchiere, la principessa Naryškin rigoverna i piatti, il barone Kruzenštern fa lo stalliere, così come un ex scrittore, certo Ananchin. A questi “aristocratici” della servitù, si contrappongono altri servi, rozzi ed istintivi.

Nel castello vivono anche i due figli adolescenti del conte: Stanisław ed Elżbieta. Con loro si trova in quel momento come ospite anche un amico e coetaneo di Stanisław, Konstanty Zaremba.

 

Uno strano servitore e una minaccia in arrivo

Tra tutti questi personaggi assume subito rilievo la figura di Sergej Gavrilovič Ananchin, con il quale il conte sovente si intrattiene. Il conte ha verso di lui un tono imperioso, ma Ananchin non si comporta servilmente; si intuisce invece che egli possiede sul conte un potere particolare, che sembra derivargli dalla sua conoscenza di qualcosa.

Il conte lo interroga su dove si trovi un personaggio misterioso, del quale non fa il nome. Questo personaggio, che il conte teme, si troverebbe a Belgrado, dice il conte, ma anni prima era ad Istambul e prima ancora a Teheran, in Indonesia ed inizialmente in Cina. Costui si starebbe avvicinando, sostiene il conte, che di questi spostamenti è stato informato per lettera. Egli è terrorizzato dalla prospettiva di incontrarlo. Ananchin nega di sapere, ma è chiaro che il conte gli attribuisce la facoltà di conoscere cose che altri non sanno.

Il primo capitolo si chiude con un altro importante antefatto. Il figlio del conte lo informa che, nel corso della giornata, la sorella Elżbieta e Konstanty, il loro giovane ospite, si sono fidanzati.

 

Un colloquio rivela fatti sorprendenti

Nel secondo capitolo del libro si svolge la festa per il fidanzamento dei due giovani. Sono giunti alcuni ospiti, tra cui un bel giovane, Michail Rosenthorpe, figlio della sorella del conte Chlodowsky. Il nipote del conte è alto, signorile e ha una parola giusta per ognuno: chiunque lo incontra ne resta incantato.

Durante il ricevimento, il padre di Konstanty, Tytus Zaremba, chiede di parlare a quattr’occhi con il conte Chlodowsky. Desidera prepararsi a ricevere la futura nuora, Elżbieta, nel castello di famiglia in Croazia e avere un’idea di quello che essa porterà in dote. Questo colloquio, che si protrae per più capitoli del libro, rivela alcuni fatti sconvolgenti.

Intanto, Elżbieta non porterà nulla in dote, perché non possiede nulla. Il conte Chlodowsky è un uomo rovinato; il castello di Rafalówka, dove abita, non è suo, ma della sorella, che gli concede di viverci gratuitamente. Questa triste situazione trae origine da un fatto pazzesco ed inspiegabile che sconvolse la vita del conte oltre 25 anni prima, e da tutto ciò che ne derivò. Nel colloquio con l’ospite, il conte narra questi fatti lontani.

 

Una terribile profezia

Era il 1912 e il conte Chlodowski, che aveva appena ereditato ingenti beni, si era recato a Mosca in viaggio. Lì si era innamorato, corrisposto, della bellissima Wera Grocholska, anche lei di nobile famiglia. Una sera i due vennero invitati al ricevimento di una principessa, al quale erano presenti molti aristocratici, alti funzionari ed ufficiali zaristi. Qui il discorso cadde sulla situazione nei Balcani e molti espressero l’opinione che la Russia dovesse intervenire, trovando così l’occasione di riscattarsi dall’umiliante sconfitta subita nella guerra russo-giapponese.

L’unico invitato che restava in silenzio era l’autore di un paio di romanzi, un certo Sergej Gavrilovič Ananchin, che molti anni dopo finirà al servizio del conte Chlodowski.  Ad un certo punto Ananchin prese la parola e formulò una stupefacente profezia. La guerra che i presenti si auguravano ci sarebbe stata e avrebbe assunto dimensioni maggiori del previsto. Essa non avrebbe però dimostrato la potenza della patria russa: la Russia avrebbe invece subito una disfatta e sarebbe precipitata in una rovina, che non avrebbe risparmiato nessuno dei presenti.

Tutti ascoltarono ammutoliti e imbarazzati. Cercando di cambiar discorso, la padrona di casa si rallegrò che per fortuna non tutti sembravano destinati a terribili sciagure ed indicò come esempio i due giovani in procinto di fidanzarsi: il conte Adam Chlodowski e Wera Glocholska. Ma Ananchin, scosse la testa: anche la loro sorte sarebbe stata terribile; poi profetizzò altre cose pazzesche: la fucilazione di alcuni militari lì presenti, il suicidio di altri, l’esilio e la miseria di altri ancora. Persino lo zar e la sua famiglia verranno assassinati, ammonì Ananchin. Quanto alla giovane Wera Glocholska, anche lei è destinata ad una fine prematura, ma prima metterà al mondo un demonio, il quale sopravviverà a tutti i presenti. Così si chiuse la profezia di Ananchin.

Tutti erano raggelati, ma la più sconvolta fu proprio Wera. Nelle settimane seguenti la giovane decise di prendere i voti ed entrare tra le Clarisse di Varsavia, separandosi per sempre dal giovane conte.

 

Cosa avvenne dopo

Inutile dire che, negli anni che seguirono, le profezie di Ananchin si avverarono. La maggior parte di coloro che avevano ascoltato la profezia ha ormai incontrato la fine che Ananchin aveva annunciato. Finora egli non si è mai sbagliato, anche se alcuni dei fatti annunciati non sono ancora accaduti, racconta Chlodowski al suo sbalordito ospite.

E la povera Wera, giunta a farsi suora per escludere ogni possibilità che la profezia si avveri? La sua sorte è stata una delle più movimentate e tragiche. La Rivoluzione Russa e la guerra civile che ne seguì la portarono in Siberia, in luoghi sempre più remoti e selvaggi. Sempre fuggendo si ritrovò infine in Mongolia, dove venne violata da un assassino, lontano discendente di un altro assassino, famigerato personaggio della storia asiatica. Dopodiché Wera mise al mondo un bambino in circostanze drammatiche e morì non molto tempo dopo.

Il bambino fu allevato da una coppia in Cina, la quale rintracciò il nome del conte Chlodowski e gli scrisse chiedendo aiuto. Chlodowski, che nel frattempo si era sposato e viveva in Polonia, rimase inorridito dalla possibilità di dover un giorno incontrare il figlio di Wera. Questi era un demonio, aveva profetizzato Ananchin.

Allora Chlodowski inviò dei soldi, perché il bambino restasse lontano da lui. Ma nel corso degli anni altre lettere giunsero, da luoghi sempre più vicini, chiedendo e ottenendo dal conte altro denaro. Ogni lettera lo terrorizzava e attirava su di lui nuove sventure.

Chlodowski intanto era rimasto vedovo. Aveva poi ospitato per anni quei conoscenti russi che, dopo aver ascoltato insieme a lui la profezia di Ananchin, si erano ritrovati esuli, avendo perso tutto nella Rivoluzione. Pian piano la ricchezza di Chlodowski era svanita e gli ospiti erano diventati suoi servi, per continuare ad essere nutriti e alloggiati. Lo stesso Ananchin ora viveva come servo al castello, affermando di aver perso da tempo il dono della profezia.

Da questo antefatto, amici lettori, si dipanano gli avvenimenti del romanzo, che procedono incalzanti verso un apocalittico finale, in cui tutti i nodi verranno al pettine, e in cui particolari apparentemente insignificanti assumeranno improvvisamente un sinistro rilievo.

Tutti gli sforzi prodigati dal conte nel tener lontano da sé l’essere demoniaco partorito su una montagna asiatica sortiscono alla fine l’effetto contrario. Una forza nefanda sembra governare il mondo e trascinare i personaggi verso la rovina. Siamo nel 1938 e l’autore stesso aveva il presentimento di un’imminente catastrofe.

 

Pregi e difetti del libro

Il romanzo è breve ed avvincente. La forza dei romanzi di Lernet-Holenia, esperto sceneggiatore cinematografico, sta in gran parte nell’intreccio, con i suoi colpi di scena, i suoi enigmi e le sue rivelazioni, i suoi personaggi in parte storici e in parte fantastici, la compenetrazione tra storia e fantasia.

Un altro punto di forza di Lernet-Holenia sono i vivaci dialoghi, che nascevano dal suo talento di sceneggiatore e drammaturgo, oltre che dal milieu aristocratico in cui era sempre vissuto e di cui subì per tutta la vita il fascino.

Le fotografie di Lernet-Holenia mostrano un uomo alto, slanciato e signorile. I suoi romanzi raffigurano ambienti aristocratici da tempo scomparsi. Essi rappresentano un mondo divenuto quasi incomprensibile per noi, regolato da eredità e matrimoni combinati, in cui non entrano né il commercio né la produzione di massa, un mondo già anacronistico ai tempi in cui Lernet-Holenia iniziò a scrivere.

Per contro, di pensiero, ce n’è pochino in questi romanzi, scusate la franchezza, amici lettori. Da come parla del Diavolo e dell’Anticristo in questo libro, cioè confondendo queste due diverse figure del mito, Lernet-Holenia mostra di non aver letto l’Apocalisse di Giovanni né i testi apocalittici dell’Antico Testamento. Siamo lontanissimi da Thomas Mann, il quale studiò per anni la Bibbia prima di scrivere i romanzi della tetralogia “Giuseppe e i suoi fratelli”.

 

Il genere della letteratura fantastica

Nei romanzi di Lernet-Holenia si ricorre talvolta ad elementi soprannaturali o paranormali, però non si tratta, a mio modesto avviso, di semplice letteratura d’intrattenimento. Se nei suoi libri si parla a volte di profezie, di uomini che vivono per secoli, di maledizioni, questo avviene perché ci troviamo nel genere della letteratura fantastica. In questo genere letterario, secondo la definizione che ne diede Tzvetan Todorov in un suo famoso libro, i confini della realtà vacillano, sia per il lettore che per i protagonisti.

In questi libri spesso avviene qualcosa che sembra mettere in discussione qualche legge della natura, un elemento di irrealtà si insinua nell’intreccio; l’autore ci terrà a lungo in sospeso sul fatto che queste leggi siano valide così come le conosciamo, oppure che si sia trattato di un sogno, di un’allucinazione, di un fraintendimento d’altro tipo. Non sappiamo a priori la risposta, tutte le prospettive restano aperte.

Intanto però la fantasia ha fatto irruzione nella realtà dei i personaggi e nuovi colpi di scena ci attendono ad ogni pagina. E allora, gustiamoci Lernet-Holenia così com’è, amici lettori, e lasciandoci trasportare dal flusso delle sue avvincenti narrazioni. Alla prossima, amici lettori!

 

"Un sogno in rosso"
In copertina: Agnolo Bronzino, “Ritratto di Ugolino Martelli”, Gemäldegalerie, Staatliche Museen zu Berlin.

 

Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:

 

– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce; 

– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil; 

– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi; 

– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth; 

– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij; 

– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal; 

– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence; 

– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;

– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth; 

– 10) “Biblioteca”, di Fozio; 

– 11) “Mysterium iniquitatis”, di Sergio Quinzio;

– 12) “L’altra parte”, di Alfred Kubin;

– 13) “Massa e potere” di Elias Canetti;

– 14) “Edda” di Snorri Sturluson, a cura di Giorgio Dolfini;

– 15) “In Patagonia”, di Bruce Chatwin;

– 16) “La coscienza delle parole”, di Elias Canetti.

 

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