di Francesco Troiano
Maggio 2020
Devo recarmi a Niguarda per un controllo. Sfioro i reparti del Covid puntellati da blocchi dove mi provano la febbre.
Tutto bene.
Uscendo, mi acceca il bianco marmoreo degli edifici uguale al camice della dottoressa che ho incontrato: il candore dell’illusione di farcela sempre.
Sul piazzale, un suono di fisarmonica attraversa i sampietrini bagnati: un uomo suona con un cagnolino ai suoi piedi e, di fronte al suo nasino, c’è un piccolo secchiello per l’elemosina.
Prendo il tram. Siamo distanziati, e la maggior parte dei sedili ha un foglio adesivo con scritto: Non sederti.
La luce, oggi, sono bagliori e lame di piccolo calore che ti sfiorano la guancia.
C’è una ragazza con il velo e la mascherina. Dai suoi auricolari arriva una musica berbera che mi danza accanto. Vedo un dromedario con in groppa un Tuareg blu che avanza al piccolo galoppo fra i binari di piazza Maciachini.
La musica può regalarti miraggi metropolitani simili al deserto. Abbiamo vissuto il deserto in città con sensazioni impresse nell’anima, ed è probabile che non ne abbiamo ancora maturato la consapevolezza.
Il cagnolino forse, più di tutti, conosce la verità.