Un viaggio sonoro ricco di suggestione

di Elena Borravicchio

Sono cinque giovanissimi artisti originari di Verona, ma con la loro musica attraversano la storia e la geografia. Sabato 23 novembre sera, al Teatro Binario 7 di Monza, l’Ensemble Terra Mater ha condotto un pubblico entusiasta nel cuore pulsante della tradizione musicale più antica e più radicata dei popoli del Mediterraneo. Impossibile non vibrare all’unisono.

Un viaggio ricchissimo di suggestione, frutto di un minuzioso e appassionato lavoro di ricerca. Strumenti classici e arcaici (come santur, oud, banjo-mandolino, bouzouki, duff, darbouka, riq, musette, kaval, bansuri, low whistle, kantele, setar) e 12 brani proposti.

La calda voce di Angela Centanin ha aperto con un brano del 500, dell’Isola di Cipro, ispirato alla città bizantina di Conio, nell’Anatolia centrale. Poi è stata la volta di una danza turca originaria delle regioni montuose dell’Anatolia a cui è seguita una struggente canzone d’amore in arabo, proveniente dal Marocco e insegnata all’Ensemble da un violista di Tangeri. Una trascinante danza bulgara, che si esegue in Bulgaria soltanto la Domenica delle Palme ed è ancora molto diffusa nei Balcani e nelle isole greche, ha preceduto un altro pezzo del mondo arabo, con il testo del XII secolo di un poeta del Marocco, abbinata a una melodia tradizionale magrebina che è giunta fino alla Persia, passando per l’Egitto e il Libano.

In seguito una canzone d’amore della tradizione ebraica dell’XI secolo di un mistico ebreo sefardita, dunque spagnolo, che si può intendere anche come esperienza fra l’uomo e Dio, resa in modo strumentale dalla viola di Ruben Medici (la voce maschile) e dal violino di Irene Benciolini (la voce femminile). Il  tema del Preludio al Te Deum di Charpentier (la sigla delle trasmissioni televisive in eurovisione), è stato arrangiato dall’Ensemble stesso nel 2017 e intitolato “Danza di un Europa minore”, nella quale Nicola Benetti e Francesco Trespidi e i musicisti già citati hanno espresso tutta la personalità del gruppo, dai ritmi balcanici al flamenco, passando per le sonorità del Maghreb. 

Successivamente una canzone greca intitolata “Από ξένο τόπο”, che significa “musica da lontano”; una canzone in italiano volgare del XIII secolo, “Che ti giova nasconder il bel volto”; un canto a tre voci della tradizione macedone; una danza dei Pirenei di origine catalana; una poesia del ‘900 scritta in “grico”, “Chissà rondinella”, di uno studente che si è spostato dalla Puglia a Torino, metafora dell’immigrazione.

Il bis concesso è stato una famosa pizzica intitolata “Il fruscio del mare”.

 

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