di Francesca Radaelli
Una delle estati più calde del secolo, quella del 1978. Un caldo che brucia le piante e uccide le bestie, sbriciola la terra e rende infuocate le case. Ad Acqua Traverse, paesino (immaginario) fatto di quattro case nel profondo Sud Italia, “ogni cosa è coperta di grano” e per il gran caldo gli adulti non escono di casa prima delle sei della sera. La campagna arroventata, allora, è tutta dei bambini, delle loro biciclette, dei loro giochi, delle penitenze crudeli. Uno di loro è Michele Amitrano, il protagonista di Io non ho paura, romanzo scritto nel 2001 da Niccolò Ammaniti e portato sul grande schermo due anni dopo da Gabriele Salvatores (nella foto a sinistra una scena del film).
“Io non ho paura di niente”, dice Michele di fronte al bambino sporco e affamato che sta dentro un buco nero scoperto per caso durante una scorribanda in bicicletta in mezzo ai campi di grano. Un morto che torna in vita come Lazzaro, un lupo mannaro che si trasforma con la luna piena, o un suo fratello pazzo tenuto nascosto lì dai suoi genitori? Lo sconosciuto della buca assomiglia tanto a uno di quei mostri che popolano la fantasia del bambino, e prendono forma nel buio della sua stanza o alla luce accecante del giorno e delle colline gialle di grano.
“I mostri non esistono. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri”, lo rimprovera il padre. In quell’estate arroventata, Michele imparerà a guardare in faccia ciò che fa davvero paura. E che sta al di là della porta della sua stanza, proprio nel soggiorno della sua casa, dentro al mondo degli adulti del paese, che vivono nel miraggio della ricchezza che viene dal Nord e che, pur di crescere i loro figli lontano da Acqua Traverse, non esiterebbero a compiere le violenze più terribili su un bambino che potrebbe essere loro figlio.
Un romanzo da leggere – o magari ri-leggere – anche dopo la visione del film. Perché ci porta nel mezzo di un pezzo di storia italiana, l’epoca drammatica dei sequestri di persona degli anni Settanta e Ottanta, in un Meridione preda della miseria e dell’ignoranza che diventa il nascondiglio ideale per i rapimenti compiuti dalla malavita ai danni dei ricchi industriali del Nord.
Ma soprattutto perché tutto questo assume un significato ancora più profondo quando lo guardiamo con gli occhi e la mente di Michele, un bambino di appena nove anni che nel giro di un’estate si trova a vivere un percorso di formazione che va di pari passo con lo svelamento di un mistero. Il mistero di un bambino che ha la sua stessa età e che deve essere tenuto dentro una buca, per una ragione misteriosa come lo sono tutti i divieti e gli ordini che discendono dal mondo degli adulti. Al termine del percorso di fronte a Michele si porrà una scelta morale difficilissima e spaventosa, per cui sarà necessario affrontare mostruosità ben più grandi delle creature spaventose immaginate dalla sua fantasia.