di Francesca Radaelli
Una riflessione sulla violenza dell’ uomo verso l’uomo, sulla violenza che si trova dentro l’uomo, pronta a scatenarsi con tutta la sua furia irrazionale sul primo capro espiatorio.
Marco Baliani in “Una notte sbagliata”, in scena lo scorso venerdì 12 aprile al teatro Manzoni di Monza, mette a tema proprio l’erompere degli istinti più bestiali della natura umana, quelli da cui nascono le guerre e le persecuzioni verso il nemico o comunque il “diverso”.
È proprio l’aggressività latente in tutti noi in quanto uomini la causa del pestaggio brutale di Tano, il protagonista dello spettacolo, personaggio di fantasia dietro cui si possono intravedere persone reali: “diverse” e dunque costantemente soggette al pericolo di trasformarsi in capro espiatorio.
Un senso di pericolo e di inquietudine che si percepisce subito, fin dal lento inizio dello spettacolo, in cui Tano, solo nella notte di una periferia urbana, insieme al cane Uni, piano piano racconta se stesso e le persone della sua vita: la mamma anziana, la sorella sposata, i personaggi del quartiere, e quelli del “centro” che lui frequenta , tra cui il dottor Pini, uno dei pochi da cui accetta di essere toccato.
Luoghi e persone evocati dalle parole di Tano prendono forma nei suoi disegni, dal tratto infantile ed estremamente espressivo, che appaiono luminosi sulle pareti scure in fondo alla scena: una soluzione efficace e suggestiva che permette di dare forma e linee al mondo di Tano. Un mondo di cui fanno parte anche quelle pasticche che gli ingarbugliano la lingua e di cui fa parte soprattutto Uni, il cane per amore del quale lui ora è uscito nella notte.
Una notte che si rivela irrimediabilmente “ sbagliata” quando davanti a Tano si fermano in successione due volanti della polizia, da cui scendono quattro agenti reduci da una giornata a sua volta “sbagliata”. Sarà un narratore esterno a raccontare la deflagrazione a cui porterà quell’incontro . Lo spettacolo deve molto della sua efficacia espressiva proprio al mutamento dei punti di vista. Fautore del “teatro di narrazione”, Baliani, unico attore sulla scena per tutta la durata dello spettacolo, questa volta si trasforma in Tano – una caratterizzazione davvero magistrale – per poi assumere il punto di vista dall’alto di un narratore esterno che racconta la concatenazione degli eventi senza sentimentalismi. È sempre lui a dare voce agli altri personaggi del dramma in un intrecciarsi di sguardi che lo stesso Baliani, a fine spettacolo definisce “teatro di post narrazione”. I diversi punti di vista si alternano nelle scene della prima parte, dando alla vicenda di Tano ancora più profondità e potenza narrativa.
Le ultime due scene dello spettacolo hanno un effetto ancora più spiazzante: gli spettatori si trovano prima proiettati in mezzo a un dibattito vero e proprio fatto di domande e risposte, con un repentino mutamento nella finzione teatrale, poi di fronte al ricordo autobiografico di un’altra scena di violenza, vissuta in prima persona da Baliani stesso.
Sono proprio queste due ultime parti a esplicitare il carattere esemplare della “notte sbagliata” di Tano, che guadagna il valore esplicito di simbolo delle tanti notti sbagliate che costellano la cronaca e la storia dell’umanità .
Al termine dello spettacolo il pubblico ha avuto l’occasione preziosa di dialogare con l’attore: rispondendo alle domande poste dai partecipanti ai corsi di critica teatrale organizzati dal teatro per studenti delle scuole e adulti, Baliani ha spiegato le ragioni alla base di alcune scelte drammaturgiche e alcuni aspetti del percorso attraverso cui è nato lo spettacolo. A partire dall’incontro con alcuni malati psichiatrici da cui ha preso forma il personaggio di Tano. Un personaggio davvero capace di entrare nel cuore degli spettatori.