di Daniela Annaro
Come molti nati nel secolo scorso, anzi due secoli fa, Giuseppe Ungaretti, nacque l’8 febbraio del 1888, venne registrato all’anagrafe solo due giorni dopo, festeggiando il compleanno sempre il giorno 10. Venne al mondo ad Alessandria d’Egitto, perché il suo babbo era lì che faceva l’operaio allo scavo del Canale di Suez. Giuseppe lo perse quando aveva solo due anni.
La madre, che aveva una panetteria, riuscì a far studiare il figliolo in una delle scuole migliori di Alessandria, l’Ecole Suisse Jacot. Fu per lui una figura importante, tanto che quando la donna morì nel 1930, Giuseppe le dedicò una delle sue più intense poesie, “la Madre”, appunto. Ungaretti è stato un poeta e uno scrittore forse tra i più amati e conosciuti del nostro paese. Non soltanto per i meriti riconosciuti a livello planetario.
Giuseppe Ungaretti legge “I miei Fiumi”
In Italia, sicuramente contò aver presentato in televisione lo sceneggiato “Odissea “. Eravamo sul finire degli Anni Sessanta, la tv era in bianco e nero. Un grande poeta leggeva Omero per un vasto pubblico. Fu in quel modo che molti si avvicinarono ai suoi scritti.
L’incontro con la poesia, per Giuseppe, avvenne da adolescente, in un contesto di stimoli internazionali. Seguiva il dibattito letterario attraverso importanti riviste: “Mercure de France” e ” La voce”. A Parigi frequentò le lezioni universitarie, tra gli altri, di Henri Bergson. Ed è lì che conobbe Guillaume Apollinaire e gli italiani Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, i pittori Amedeo Modigliani, George Braque e naturalmente, Pablo Picasso. Frequentò anche circoli impegnati politicamente, anarchici e socialisti.
Allo scoppio della Grande Guerra, siamo nel 1914, si arruolò in Italia e nel 1915 combatté sul Carso. “Porto sepolto” e “Allegria di naufragi” sono due raccolte di poesia che si riferiscono a quelle esperienza, che ebbe come approdo finale la sua adesione al Fascismo.
Lavorò all’ufficio stampa del ministero degli Esteri e collaborò come giornalista a “La Gazzetta del Popolo”. Nel 1936, gli offrirono la cattedra di letteratura italiana in Argentina, all’università di San Paolo. Tre anni dopo, il figlio Antonietto, 9 anni, morì per una appendicite mal curata. Un’esperienza dolorosissima per il Poeta. Un’intensa prostrazione che trova sfogo nelle raccolte “Il Dolore”, “Un Grido” e “Paesaggi”.
Esperienze drammatiche, che segnano la sua vita, rintracciabili nella profondità del suo scrivere. Ungaretti è stato un grande poeta perché ha saputo rinnovare il linguaggio, il verso della tradizione poetica italiana, racchiudendo in poche parole, di grandissima sintesi l’universo di dolore e la difficoltà dell’uomo.
Pasolini intervista Ungaretti