di Francesca Radaelli
Il concorso per realizzare il poster della prossima edizione è partito. E fervono i preparativi per l’AS Film Festival, che andrà in scena al Maxxi di Roma a novembre. Una rassegna cinematografica decisamente unica nel suo genere. Perché AS sta per Sindrome di Asperger, ma l’autismo non sarà protagonista solo sullo schermo. Il curatore Giuseppe Cacace ci racconta perché.
È un festival di cinema uguale agli altri, ma diverso. Una rassegna organizzata e animata da persone che si riconoscono nella condizione autistica. Si chiama AS Film Festival, dove AS sta per Sindrome di Asperger (o per Spettro Autistico) , è ormai alla terza edizione e si svolgerà a Roma, nella prestigiosa cornice del MAXXI, Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. L’appuntamento è fissato per il 14 e 15 novembre, ma già fervono i preparativi. Tra le novità di quest’anno spicca il contest gratuito per la realizzazione del poster che rappresenterà la locandina del festival: al concorso possono partecipare, fino al 30 giugno, artisti e creativi che si riconoscono nella condizione autistica (tutte le informazioni al link http://www.asfilmfestival.org/it/crea-il-tuo-poster.html).
Per farci raccontare l’iniziativa e lo spirito del festival abbiamo raggiunto telefonicamente il curatore della rassegna, Giuseppe Cacace. Ascoltandolo parlare – è un vero fiume in piena – si percepisce tutta la passione con cui da anni lavora al fianco di ragazzi per i quali il linguaggio cinematografico arriva ad assumere un ruolo inaspettato e sorprendente. Ma si percepisce soprattutto la voglia di dare voce a un universo, quello delle persone autistiche, per cui farsi ascoltare è difficilissimo. Un universo che però vale la pena provare a conoscere, al di là degli stereotipi affrettati, nella sua complessità. E provare a coinvolgere in progetti di carattere culturale di ampio respiro.
Quest’anno l’AS Film Festival è giunto alla terza edizione. Giuseppe Cacace, vuoi raccontarci come è nata l’idea di una rassegna cinematografica animata da ragazzi autistici?
In realtà, quando abbiamo iniziato, l’idea del festival non c’era proprio. Tutto è cominciato nel 2008, quando abbiamo deciso, insieme ad alcuni genitori di ragazzi con Sindrome di Asperger, di dare vita a un cineclub che potesse aiutare ad avviare verso un percorso di interazioni sociali persone per cui le relazioni più elementari rappresentano spesso fonte di paura e angoscia.
Il risultato è stato sorprendente, nel giro di un anno siamo riusciti a creare un gruppo molto affiatato. E questo vuol dire davvero molto, quando si ha a che fare con persone autistiche.
In che senso? Puoi spiegarci che cos’è la Sindrome di Asperger e che cosa comporta?
La Sindrome di Asperger viene definita come una condizione autistica “ad alto funzionamento”, che spesso porta a isolarsi dal mondo, al rifiuto di qualsiasi momento di socializzazione. Questo perché per le persone che si riconoscono in questa condizione la realtà quotidiana, in cui noi tutti siamo immersi, appare molto difficile da decifrare. Queste persone magari frequentano l’università e hanno ottimi voti, però non riescono a capire, per esempio, il significato delle espressioni del viso di chi si trovano di fronte. Oppure non comprendono alcune convenzioni sociali elementari, ed anche darsi la mano può risultare per loro un gesto non naturale, non immediato.
In che modo il cinema può essere d’aiuto?
In quanto il cinema funziona da filtro. La relazione con ciò che avviene sullo schermo, per quanto coinvolgente possa essere, non è diretta e immediata come nel dialogo tra due persone che si trovano faccia a faccia. In questo senso, vedere un film può aiutare a capire come funziona la realtà, può diventare strumento di educazione alla vita sociale. Lo si può vedere e rivedere all’infinito per imparare. Il meccanismo è un po’ quello che si vede nel film ‘E.T.’ in cui l’ extraterrestre si serve della tv per comprendere comportamenti, usi, costumi dei terrestri.
Hai citato ‘E.T.’ , ma i film che trattano esplicitamente, spesso ostentatamente, il tema dell’autismo sono davvero tanti, alcuni famosissimi. Quando si parla di autismo e cinema il pensiero corre subito al Dustin Hoffman di ‘Rain Man’ o a Tom Hanks nei panni di Forrest Gump…
Diciamo che sicuramente l’autismo è una condizione molto ‘cinematografica’, un tema che si presta benissimo ad essere rappresentato sul grande e sul piccolo schermo. E al di là dei ‘classici’, non mancano esempi recenti: penso alla serie tv britannica su Sherlock Holmes, con protagonista Benedict Cumberbatch, in cui si è deciso di rappresentare l’investigatore come una persona con la sindrome di Asperger. E si dice che lo fosse anche Alan Turing, a cui è stato dedicato il recentissimo film ‘The Imitation Game’, con lo stesso Cumberbatch. Purtroppo però troppo spesso il rischio è quello di veicolare, al cinema o in tv, un’immagine standard della condizione autistica, uno stereotipo di cui il pubblico possa accontentarsi. E invece esistono tanti tipi di autismo, che producono comportamenti e approcci alla realtà molto diversi tra loro.
Per esempio?
Pr esempio Dustin Hoffman in ‘Rain Man’ ha poco a che fare con la Sindrome di Asperger: in quel caso c’è un evidente ritardo nello sviluppo cognitivo, che lo porta in qualche modo a vivere in una dimensione personale in cui è difficile entrare. I ragazzi che partecipano all’AS Film Festival, invece, non hanno problemi cognitivi, ma comportamentali e relazionali, sono ben consapevoli del mondo esterno e, di conseguenza, anche della propria inadeguatezza rispetto ad esso.
Si rendono conto della loro diversità e sono degli appassionati di cinema. Qual è la loro reazione quando si vedono rappresentati sullo schermo?
Il tema è molto delicato e non sempre è facile affrontarlo. Spesso però vengono fuori osservazioni interessanti. Ultimamente per esempio, parlando di serie tv, uno dei ragazzi ha confidato di non sopportare il modo in cui, in ‘The Big Ben Theory’ si ride “di” Sheldon, e di apprezzare invece un’altra serie americana, ‘Community’, in cui lo spettatore ride “con” Abed Nadir, il personaggio con sindrome di Asperger. In generale, i ragazzi sono in grado di riconoscere se stessi nei personaggi autistici che vengono rappresentati. Ultimamente hanno apprezzato, per esempio, film come l’animation australiano in slow motion ‘Mary and Max’, oppure ‘Adam’ o anche l’italiano ‘The special need’ che affronta il tema del rapporto col sesso, che, implicando contatto fisico, è decisamente problematico per una persona autistica.
Venendo al Festival, ci spieghi come è strutturato?
La manifestazione nasce da un’idea di Marco, uno dei ragazzi del famoso cineclub da cui è iniziato tutto, e si articola in due sezioni, che rappresentano le due anime del festival, nato per parlare di autismo nel modo corretto, ma anche per coinvolgere i ragazzi con Sindrome di Asperger nell’organizzazione di una vera rassegna cinematografica. La prima sezione, non competitiva, è dedicata dunque ad opere internazionali su tema autismo. Il titolo è “Ragionevolmente differenti”, dal libro di Mirna Cola, una giovane antropologa che ha seguito l’esperienza del cineclub fin dall’inizio. L’altra sezione, invece, include cortometraggi italiani a tema libero, questi sì in gara tra loro.
È quest’ultima la parte gestita direttamente dai ragazzi?
Sì, fin dalla prima edizione si sono occupati loro delle selezioni dei titoli di questa seconda parte. E, devo dire, è stato davvero divertente ascoltarli argomentare i propri giudizi sulla base di considerazioni che a nessuno di noi verrebbero mai in mente, di dettagli per noi magari marginali, ma per loro imprescindibili. D’altronde è proprio l’attenzione per il dettaglio una delle caratteristiche distintive del loro modo di pensare. Il più delle volte questo è un guaio, talvolta può portare a risolvere casi impossibili, alla Sherlock Holmes. Oppure semplicemente può essere un modo ‘ragionevolmente differente’ per guardare al mondo e al cinema.
Quali sono stati i riscontri e le reazioni che il festival ha suscitato nelle passate edizioni?
Negli ultimi due anni riceviamo continuamente telefonate e mail da tutta Italia di persone incuriosite dal festival, di famiglie di persone autistiche o associazioni del settore che vogliono saperne di più, vogliono capire se ci sono cineclub per ragazzi asperger anche nella loro città o se abbiamo intenzione di portare il festival in giro. E’ in questo modo che abbiamo conosciuto ad esempio Teatrialchemici in Sicilia, Diversamente onlus, in Sardegna, Progetto Gian Burrasca a Spoleto… Allo stesso modo ci piace instaurare con gli artisti che partecipano al festival una relazione che prosegua anche dopo, in una prospettiva di scambio reciproco. E spesso si rimane in contatto tramite Internet, un mezzo con il quale i nostri ragazzi si trovano particolarmente a proprio agio, proprio perché presuppone un forte grado di mediazione (è lo stesso discorso del filtro che facevamo prima). Ne abbiamo ancora di strada da fare, però. Perché la nostra ambizione è far sì che il festival diventi un lavoro vero per i ragazzi, creare un laboratorio permanente.
Quali sono i principali problemi che vi trovate a fronteggiare? È difficile trovare i finanziamenti?
Certamente quando si tratta di soldi, la difficoltà c’è. Tra i nostri sostenitori, però, siamo riusciti ad arruolare l’Agenzia Nazionale per i Giovani che ha sostenuto la prima edizione, la Fondazione MAXXI che ha messo a disposizione la location del festival, ma anche tante realtà del terzo settore, dall’associazione nazionale Gruppo Asperger Onlus, all’associazione Museo Nazionale del Cinema di Torino che cura la vetrina Cinemautismo, ai media partner come l’Istituto Europeo di Design – IED. Il problema maggiore, però, è un altro, per come la vedo io.
Quale?
Ciò che mi dispiace di più è la difficoltà che incontriamo nel coinvolgere giovani ‘neurotipici’ nell’organizzazione del festival, che, essendo una rassegna cinematografica a tutti gli effetti, rappresenta comunque una bella opportunità per chi voglia iniziare a lavorare nel mondo del cinema. Dispiace che siano davvero pochi i coetanei dei ragazzi del cineclub che si sono fatti avanti per vivere un’esperienza che rappresenta un arricchimento sia sul piano culturale che su quello umano. Certo, entrare in sintonia con persone autistiche richiede tempo e pazienza, ma posso assicurare che ne vale davvero la pena.
Francesca Radaelli