Intervista a Francesco Perticone, co-fondatore di I Food Share
8,1 miliardi di euro. E’ l’ammontare dello spreco alimentare in Italia nel 2014, secondo i dati del rapporto Waste Watcher presentato lo scorso luglio all’Expo Gate di Milano. Numeri che sono stati ribaditi recentemente da Andrea Segré,presidente di “Last minute market” e docente di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna. E’ di pochi giorni fa l’appello da lui lanciato al Governo perché l’educazione alimentare venga inserita nel nuovo piano per la scuola. Stando a quanto emerge dal report, infatti, una famiglia italiana spreca in media 6,5 euro a settimana, corrispondenti a 630 grammi di cibo.
Cibo di cui potrebbe aver bisogno qualcun altro nel mondo, o anche solo in Italia o addirittura nel raggio di pochi chilometri da dove viviamo.
E così, in attesa di una soluzione che permetta di prevenire a monte gli sprechi, quello che si può fare nell’immediato è provare a trovare questo ‘qualcun altro’ in grado di salvare il cibo dalla spazzatura. Lo strumento per farlo potrebbe essere il mezzo di comunicazione per eccellenza: niente meno che il World Wide Web.
La pensano così i fondatori di I Food Share, la piattaforma online che si propone di mettere in comunicazione chi ha bisogno di donare il proprio cibo con chi ha necessità di riceverne. Un’idea nata per la prima volta in Germania con foodsharing.de, sito che ha riscosso un successo incredibile arrivando nel dicembre 2013 a ben 30mila utenti registrati. Ifoodshare.it, il primo sito nato in Italia un anno e mezzo fa sul modello tedesco, per ora ne conta 1.500. Ma, forse, siamo solo all’inizio. Forse anche in Italia ci sono le premesse per condividere il cibo in più mediante la rete.
Il Dialogo di Monza ne ha parlato con uno dei fondatori della piattaforma – e dell’associazione – I Food Share, Francesco Perticone.
Come è nata l’idea di I Food Share?
L’idea nasce e si ispira all’esperienza degli amici tedeschi. Un giorno ci siamo imbattuti nel trafiletto di un quotidiano nazionale che parlava di loro e della loro iniziativa. E’ stata la molla che ci ha spinto ad adoperarci per metter su una piattaforma web che permettesse la condivisione del cibo.
E contribuisse a ridurre gli sprechi alimentari …
L’obiettivo principale di I Food Share è proprio quello di evitare che qualunque alimento ancora commestibile diventi rifiuto. Condividerlo e donarlo è nostro dovere, dovere di ogni cittadino che abita questo mondo. Non è fondamentale preoccuparsi chi sia a beneficiarne, ricco o meno ricco. L’importante è che non venga buttato.
I Food Share non nasce come una start up imprenditoriale, ma è un’associazione no profit. Da dove vi sta giungendo il sostegno maggiore in termini economici? State seguendo strategie particolari per farvi conoscere?
Il sostegno all’associazione, anche in termini economici, arriva in primo luogo da noi stessi. Stiamo ricevendo anche dai privati qualche piccola donazione, grazie a cui possiamo sostenere i costi di gestione della piattaforma web. Devo dire che la migliore strategia per farci conoscere è il passaparola, poi abbiamo avuto un ritorno mediatico da Tv, giornali, radio nazionali e locali, che ci sta aiutando molto.
Come funziona ifoodshare.it?
Per poter donare o beneficiare delle ceste messe a disposizione nel sistema I Food Share è innanzitutto necessario registrarsi nell’apposita area. Donatori e beneficiari possono quindi mettersi in contatto tramite sistema di messaggistica interna e concordare le modalità di consegna/ritiro.
Quindi la piattaforma online funziona da intermediario tra donatore e beneficiario. Ci sono casi in cui offrite anche un supporto logistico?
Sì, stiamo cercando di lavorare anche sul territorio, organizzando dei ritiri con piccoli esercenti locali, ridistribuiamo anche ad associazioni che ci aiutano a smaltire ciò che abbiamo recuperato. Il resto è sul web, disponibile a tutti.
Questo è un nodo significativo, mi pare. Che rapporto avete con le associazioni che si occupano di redistribuzione di cibo sul territorio? Penso al Banco Alimentare, alla Caritas, alle varie mense dei poveri … Si parla di altri ordini di grandezza, oppure capita che il sito venga utilizzato non solo da privati?
Devo dire che i privati rappresentano la maggior parte degli utenti, ma anche le associazioni si sono fatte avanti.
State sviluppando rapporti anche con la Grande distribuzione?
Qualche operatore della Gdo si è fatto avanti, però nella maggior parte dei casi incontriamo parecchie difficoltà a dialogare con loro.
A livello geografico, dove state riscontrando maggior interesse?
Diciamo che dipende dai periodi, e dalla buona volontà delle persone. Ci sono stati momenti dove il Sud “ha battuto” il Nord, ma ovviamente le grandi città si fanno sentire sempre di più.
E’ possibile tracciare un profilo dal donatore-tipo e del beneficiario-tipo?
Al momento della registrazione non chiediamo più di nome, cognome e sesso, quindi l’unica cosa che posso dire che le donne sono in vantaggio. Su 1500 utenti attivi al momento il 65% sono registrazioni pervenute da sesso femminile.
Capita che qualcuno sia donatore e beneficiario allo stesso tempo?
Sì, ultimamente sì. Da qualche mese abbiamo allargato la nostra mission al concetto di ‘No Spreco’. Inizialmente la piattaforma recuperava cibo solo per ridistribuirlo a chi ne avesse avuto necessità, mentre oggi abbracciamo a 360° il concetto di food sharing. Insomma, non occorre essere poveri per ricevere cibo. L’importante è che non vada sprecato! Questo cambiamento di prospettiva ci ha portato ad avere un utenza di cittadini che condividono e beneficiano delle ceste disponibili.
Quali sono i problemi maggiori che state incontrando nel promuovere e diffondere il progetto?
Il compito più difficile è educare a non sprecare e non cestinare il cibo ancora commestibile. Purtroppo veniamo da un’epoca, quella del consumismo, in cui siamo stati abituati a comprare più del necessario e a buttare con facilità. Oggi occorre fare un passo indietro e comprendere che ciò che buttiamo lo paghiamo a peso d’oro.
Addirittura?
Sì. Quando dico a peso d’oro intendo che per produrre 1 Kg di pasta si spreca anche un tot di energia e risorse naturali. Il packaging, la produzione, il trasporto su gomma o altro, tutto ha un costo. In più, se lo cestiniamo, ci costa anche smaltire il rifiuto: in termini economici innanzitutto, per non parlare poi del danno ecologico che facciamo al nostro pianeta. Dobbiamo fare un passo indietro, mentre la tecnologia ne fa mille in avanti. Solo così potremo migliorare il luogo in cui viviamo.
Ora l’era del consumismo è finita. E’ tempo di carsharing, couchsurfing e crisi economica. In questo contesto che senso ha servirsi di Internet per condividere un bene di consumo come il cibo?
Internet arriva ovunque, Internet è nelle nostre case ed è un mezzo che oggi ci aiuta a migliorare la tempistica, a raggiungere chiunque. A livello pratico, è un modo semplice per informare centinaia di persone che hai del cibo che non riesci a consumare e che ti piacerebbe condividerlo con altri. In quest’ottica, il web è perfetto ed è il mezzo più comodo.
Insomma, come si può riassumere la filosofia alla base di I Food Share?
Con le parole che abbiamo voluto pubblicare sulla home page del sito: “I food share è cultura della solidarietà che si fonda sullo scambio solidale del bene primario, il cibo, fondamento dello sviluppo umano. Il diritto all’alimentazione è un diritto di ogni essere umano come diritto inviolabile.
I food share è condivisione, è partecipazione solidale nel settore dell’alimentazione umana”.
Francesca Radaelli