Va in scena Ferdinando, un capolavoro di Ruccello

Venerdì 1, Sabato 2, Domenica 3 dicembre 2023, al Teatro Manzoni di Monza, Arturo Cirillo riporta in scena Ferdinando, capolavoro indiscusso del celebre commediografo e regista napoletano Annibale Ruccello (1956-1986).

Con questo allestimento, Cirillo, dopo le fortunate prove dello stesso autore Le cinque rose di Jennifer e L’ereditiera (entrambe vincitrici del Premio Ubu), firma un altro classico e allo stesso tempo contemporaneo capolavoro.

Ferdinando è considerato uno dei testi più significativi della drammaturgia novecentesca. Agosto 1870: il Regno delle Due Sicilie è caduto e la baronessa borbonica Donna Clotilde, nella sua villa vesuviana, si è “ammalata” di disprezzo per il re sabaudo e per l’Italia piccolo-borghese nata dalla recente unificazione.

A fare da infermiera all’ipocondriaca nobildonna è Gesualda, cugina povera e inacidita dal nubilato, ma segreta amante di Don Catellino, prete corrotto.
A sconvolgere l’equilibrio domestico sarà Ferdinando, sedicenne dalla bellezza efebica, che getterà la casa nello scompiglio, riaccendendo passioni sopite e smascherando vecchi delitti.

Ma chi è davvero Ferdinando?

Logica ed inconsueta, allo stesso tempo, mi appare la mia decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello. Logica perché riconosco in Ruccello un mio autore, un autore sul quale sono tornato più volte, e con spettacoli per me importanti. Ma la scelta mi appare anche inconsueta, poiché per me Ferdinando è sempre stato legato allo spettacolo che curò l’autore stesso (nonché primo interprete del ruolo di Don Catellino), che ha girato per molti anni tutta l’Italia avvalendosi della grande interpretazione di Isa Danieli.

Una scena di “Ferdinando”

Inoltre per me il testo è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Ruccello, un testo più realistico, storico, un dramma con una struttura classica. Il desiderio per un inafferrabile adolescente, nato da un inconsolabile bisogno d’amore, matura nella mente di tre personaggi disperati (Donna Clotilde, Donna Gesualda e Don Catello), prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall’abitudine.

Allora tutto l’aspetto storico mi è apparso una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese, in cui anche la lingua, il fantomatico napoletano in cui si sostanzia Donna Clotilde, è esso stesso lingua di scena, lingua di rappresentazione, non meno del tanto “schifato”  italiano.

Una scena composta da un unico grande drappo che scende dall’alto e contiene il luogo dell’azione, un luogo claustrofobico in cui convivono tutti i personaggi, che vediamo spogliarsi, rivestirsi, incontrarsi (come in un film di Luis Bunuel).
Personaggi rinchiusi in abiti scuri, monacali e preteschi, per devozione o lutto, ma forse solo per difesa. Illuminati da luci rivelatrici, come in un miracolo pagano, dove l’intimità delle note di un pianoforte convivono con quelle sontuose e barocche di un organo.

Poi  c’è Ferdinando, ragazzino normale di un tempo presente, portatore solo del proprio corpo giovane sul quale gli altri tre personaggi, di questo quartetto, disegnano le proprie visioni e i propri desideri. Trascendendo dalla persona in sé, come spesso avviene nell’innamoramento, si ingannano e si lasciano ingannare.

Dopo gli resta solo la constatazione del proprio fallimento e della propria folle e disperata solitudine, in un luogo spettrale abitato dai morti e dai ricordi.

Mi pare che con Ferdinando, ancora una volta e ancora di più, Ruccello faccia fuori i generi, sessuali e spettacolari, per mettere in scena l’ambiguo e il sortilegio. (Note di regia)

Info e biglietti:
www.teatromanzonimonza.it

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