di Francesca Radaelli
In vacanza in Brianza. Quello che oggi ai brianzoli potrebbe apparire un ‘sacrificio’ imposto dalla pandemia Covid, fino a qualche secolo fa era un’abitudine consolidata presso le ricche famiglie milanesi. Testimoni ne sono le imponenti ‘ville di delizia’ di cui il territorio brianzolo è disseminato. Non solo sui territori collinari di Canonica, Omate, Inverigo. Ma anche in corrispondenza di comuni che oggi appare più arduo associare a luoghi di villeggiatura: Desio, Biassono, Arcore.
A leggere i dati più aggiornati sui livelli di inquinamento nelle nostre cittadine potrebbe far sorridere ricordare l’ode dedicata alla salubrità dell’aria brianzola composta nel Settecento dal bosisiese Giuseppe Parini. Sono passati secoli dall’età dei Lumi, i paesaggi agricoli spesso hanno lasciato spazio ai paesaggi industriali, la qualità dell’aria non è più così raccomandabile e il territorio un tempo bucolico si è trasformato ormai nell’operosa – e densamente popolata – Brianza. Eppure le origini dello sviluppo economico di alcuni settori dell’artigianato brianzolo sono riconducibili proprio al tempo delle ville di delizia: basti pensare all’arredamento e al settore del mobile, stimolato dalle frequenti ristrutturazioni e rifacimenti delle case di campagna della nobiltà.
“Ville di delizia” è anche il titolo dell’opera con cui l’incisore settecentesco Marc’Antonio Dal Re progettava di illustrare le bellezze della Lombardia. La diffusione delle sue illustrazioni rese la zona a nord di Milano celebre in tutta Europa e forse influenzò anche l’imperatrice Maria Teresa d’Austria al momento di scegliere il luogo per la residenza di campagna del figlio Ferdinando, granduca di Milano, all’epoca del dominio asburgico in Lombardia.
Sposatosi con Beatrice d’Este per effetto dell’accorta politica di alleanze matrimoniali perseguita dalla madre, Ferdinando aveva due grandi passioni: la musica e la botanica. Non doveva invece essere dotato di grande talento politico, se è vero che Maria Teresa gli aveva imposto di non interessarsi al governo del granducato e lasciar gestire l’amministrazione del territorio ai funzionari che rispondevano direttamente al governo centrale austriaco. Compito del granduca doveva essere piuttosto quello di dedicarsi agli obblighi di rappresentanza.
E Ferdinando il compito lo svolgeva più che degnamente: si era circondato di una corte raffinata e aveva chiamato ad animare i suoi salotti letterari personaggi di spicco dell’illuminismo lombardo, come Pietro Verri, o il cardinal Angelo Maria Durini. Le famiglie Verri e Durini peraltro erano proprietarie di due ville di delizia proprio in Brianza, rispettivamente a Biassono – Villa Verri, oggi sede di comune e biblioteca – e a Monza – Villa Mirabello, oggi parte del Parco. E proprio su Monza cadde la scelta per la costruzione della nuova residenza di campagna di Ferdinando, stanco di trascorrere la villeggiatura alla Villa Alari di Cernusco sul Naviglio, assediata da umidità e zanzare.
Così, nel 1777, per regio decreto dell’imperatrice, vennero stanziati 70mila zecchini per l’acquisto dei terreni e la costruzione della villa, la futura ‘Reggia di Monza’. Il progetto fu affidato a Giuseppe Piermarini, nominato Imperial Regio Architetto da Maria Teresa e già impegnato nella costruzione a Milano del teatro alla Scala. Se il teatro milanese soddisfaceva la passione per la musica di Ferdinando, quella per la botanica avrebbe ora avuto spazio nella nuova villa situata nella campagna monzese, grazie anche alle opere di ingegneria idraulica e naturalistica commissionate all’architetto per le adiacenze della residenza.
A dire il vero, al vedere il progetto di Piermarini, l’imperatore Giuseppe, fratello di Ferdinando e associato al trono d’Austria dalla madre, era rimasto un po’ perplesso: quello che doveva essere un rustico di campagna assomigliava più alle regge di Schonbrunn, Versailles e Caserta (quest’ultima non a caso opera di Vanvitelli, di cui Piermarini era discepolo).
All’impianto a U tipico delle ville di delizia lombarde, l’architetto aveva aggiunto ulteriori elementi scenografici, aumentando l’imponenza dell’edificio. L’asse della villa venne orientato verso Budapest, in omaggio a Maria Teresa, e dopo la demolizione di precedenti case rurali vennero creati due viali che portavano verso Monza e verso la strada per Milano. Una volta compiuto l’edificio, un ulteriore finanziamento permise a Piermarini di lavorare ai giardini, in cui coesistevano i modelli di giardino all’inglese, alla francese, all’italiana. Grazie ad alcune opere idrauliche, parte delle acque del fiume Lambro furono incanalate verso i giardini, aprendo la Roggia del Principe e creando il laghetto e le cascatelle tra e rocce. Finalmente il granduca aveva spazio per i suoi esperimenti di botanica: giunsero a Monza i ginko biloba giapponesi e le sequoie americane.
Nell’estate del 1780 Ferdinando e Beatrice si trasferirono a Monza: qui trascorreranno i mesi più belli dell’anno per 16 anni, ricevendo le visite dei nobili e ricchi milanesi fino alla stagione autunnale.
Le visite iniziano a farsi più rade dopo lo scoppio della Rivoluzione francese, l’uccisione di Maria Antonietta – sorella di Ferdinando -, la guerra dell’Austria – ora guidata da Francesco II, nipote di Ferdinando – contro la Francia rivoluzionaria e la repressione della polizia austriaca contro i ‘progressisti’ accusati di essere filo francesi. Tempi duri per l’illuminismo milanese. Le stanze della Villa si svuotano, abbandonate dagli antichi amici del granduca.
Ferdinando e Maria sono a Monza quando nel maggio 1796 giunge la notizia dell’arrivo dell’armata di Napoleone a Milano. Partono in tutta fretta, mettendosi in salvo a Venezia. Non rivedranno più la loro villa di delizia.