di Roberto Dominici
Il premio Nobel per la fisiologia o la medicina 2023 è andato alla biochimica Katalin Karikó, ora all’Università di Szeged in Ungheria, e all’immunologo Drew Weissman, all’Università della Pennsylvania a Filadelfia, per scoperte che hanno permesso di apportare modifiche alle basi azotate dei nucleosidi che hanno reso possibile lo sviluppo di vaccini a mRNA efficaci contro il virus SARS COV-2 responsabile del COVID-19 e che promettono molte altre applicazioni nei prossimi anni.
L’idea di vaccini a RNA non è nuova: indurre una risposta immunitaria iniettando non il patogeno o una sua proteina, ma l’RNA messaggero con le istruzioni per far produrre questa proteina alle cellule dell’individuo da immunizzare. L’RNA messaggero è una molecola che appunto fa da messaggero, tra le istruzioni contenute del DNA da cui è trascritto e le proteine, prodotte proprio a partire dall’mRNA nel processo nodo come traduzione (per una corrispondenza tra la sequenza di basi nell’mRNA e la sequenza di amminoacidi delle proteine).
Il vantaggio di utilizzarlo rappresenta una brillante soluzione con diversi potenziali vantaggi, incluso, la facilità con cui si può riadattare il vaccino se il patogeno muta in nuove varianti. Ma l’idea è parsa per molto tempo irrealizzabile perché l’RNA sintetizzato in laboratorio, quando iniettato nell’organismo, induceva reazioni infiammatorie che lo distruggevano.
Con lunghe ricerche all’Università della Pennsylvania, i due ricercatori Karikó e Weissman hanno capito perché e trovato una soluzione: l’RNA di laboratorio era privo di alcune modificazioni chimiche che sono state poi inserite sull’RNA prodotto dalle cellule. Introducendo queste modifiche, e in particolare sostituendo uno dei nucleosidi che formano l’RNA, l’uridina, con la sua forma modificata pseudouridina, si eliminava la risposta infiammatoria. I due hanno anche indagato i meccanismi cellulari responsabili del fenomeno.
Com’è frequente, l’assegnazione del Nobel ha indotto considerazioni al di là della ricerca premiata, sull’importanza di promuovere la ricerca di base che darà frutti nel tempo, o sulle difficoltà delle minoranze e delle donne attive nel campo scientifico; Katalin Karikó, immigrata ungherese, ha affrontato grandi ostacoli per poter condurre le sue ricerche, ed è solo la tredicesima donna premiata col Nobel per la medicina.
La tecnologia promette comunque grandi sviluppi, da vaccini a RNA contro patogeni difficili da affrontare a terapie per vari tumori e altre malattie. Entro il 2030 potrebbe essere disponibile una serie di vaccini a mRNA contro diversi tipi di cancro. L’annuncio è stato di qualche giorno fa da parte del direttore sanitario dell’azienda farmaceutica Moderna e ha riacceso le speranze. Già, perché tutti vorrebbero avere la possibilità di proteggersi dal tumore grazie a una semplice vaccinazione.
Non si tratta però di una vaccinazione tradizionale. Si chiama infatti vaccino terapeutico perché si somministra quando c’è già la malattia. Non previene dunque nel senso tradizionale, ma cura e quindi, previene le fasi più gravi della malattia oncologica, cioè ricadute e metastasi. I vaccini terapeutici hanno come bersaglio l’antigene espresso dal tumore. E per farlo nel modo giusto, cercano le cellule del sistema immunitario e le conducono dall’antigene, con l’obiettivo di introdursi nelle cellule malate e sterminarle.
È un’azione che il vaccino terapeutico conduce lentamente, affinchè sia possibile arrivare al bersaglio efficacemente, ma senza sconvolgere l’organismo. Sono oltre 400 le sperimentazioni in corso in tutto il mondo. I tipi di vaccini utilizzati in ambito di ricerca sono molti: a base di acidi nucleici (DNA o RNA), che prevedono l’impiego di proteine o parti di esse (vaccini proteici o peptidici), oppure di composti a base di cellule di vario tipo (vaccini cell-based). Attraverso gli studi, i ricercatori stanno appurando vantaggi e svantaggi dei diversi vaccini e per quali forme tumorali sono maggiormente indicati.
Si sta facendo strada infatti l’ipotesi che non ci sarà un unico vaccino, ma tanti. Le ricerche non riguardano solo l’uso di vaccini, ma anche di altre strategie tra quelle già disponibili, con l’obiettivo di trovare una terapia anche per le forme di tumore più resistenti o che si manifestano già ad uno stadio avanzato. Per questo, ad esempio, ci sono studi che prevedono l’utilizzo in associazione del vaccino anticancro con l’immunoterapia, oppure la chemioterapia, o ancora, terapie a bersaglio molecolare. Per sconfiggere i tumori ci vorrà ancora del tempo, ma la lotta contro i big killer non si ferma mai.