di Vladislav Karaneuski
La notte stava pian piano abbracciando le vie della città. L’oscurità fluiva da ogni angolo e si impadroniva di ogni androne, di ogni spazio, senza lasciare più traccia di luce. Io me ne andavo dritto per la via, vuota e oscura, privo di qualsiasi pensiero.
Improvvisamente mi rapì l’odore delle camelie, coi loro fiori iridescenti appena sbocciati, e delle magnolie, che in tutta la loro grazia primaverile regalavano, nel bel mezzo dell’oscurità, un senso di appagamento, di piacere sovrumano. Quasi una promessa di avvenire meraviglioso, di un domani chiaro e luminoso. Ma per ora rimanevano lì, ascose e nascoste, a profondere i sapori dei colori sgargianti che avrebbero mostrato alla luce del sole, e che per ora non potevo ammirare.
Ero uscito apposta, per immergermi in quella realtà discorde, che è la notte primaverile, in quel suo essere che vive e prospera proprio nella sue contraddizioni. Un buio che offusca il colore, ma odori e sapori che non vogliono saperne di rimanere rintanati nell’oscurità. Ma erano proprio quei profumi che cercavo. Per poter dare vita, in qualche modo nella mia immaginazione, a ciò che avrei visto il giorno seguente, tra quelle strade che ora parevano non avere più nome.
E così camminavo, e ogni angolo aveva qualcosa da raccontarmi, tra passato e presente. Un tutto insito nei riflessi della mia memoria. Tra quei palazzoni di via Cavallotti, che mi avevano visto maturare, giorno per giorno, a ritmo di febbrili studi, fino a quelle librerie dove, per molto tempo, aveva trovato dimora quel mio insaziabile bisogno di assaporare la dolcezza della parola letteraria, tra gli scaffali.
Per poi arrivare alla stazione, che mi aveva visto partire così tante volte, con valigie e valigioni, e ogni tanto con un semplice zainetto, sempre alla ricerca di quel viaggio che desse senso alle cose.
E infine le mie biblioteche, e in particolare una, quella che si rintana dietro al Tribunale che, col suo amore per i dettagli, per i piccoli particolari che si nutrono di una loro essenza eterna e lontana, mi incoraggiava a continuare a ricercare la bellezza in vecchi tomi e voluminosi manuali, dove meno ci si aspetterebbe di trovarla.
E in quest’estetica perfetta, in questo equilibrio sovrumano, dove tutto pare originato da un amore così sublime da non sbagliare mai, da riuscire sempre a contenere nei propri spazi, nei propri limiti, sensi e significati che non possono essere spiegati dalla superficialità delle parole, il mio sentimento vagava, ancor più veloce delle mie gambe.
In questa dolcezza e leggiadria, nel silenzio notturno delle mie strade, mi perdevo, dimentico della vita, dei suoi impegni e delle sue frenesie, sempre alla ricerca di risposte al perché dell’esistenza.