Viaggio nell’arte: Édouard Manet

Ilaria Pullè in arte Billy Polly

Mentre in tempi attuali, nel 2024, i film di James Bond, da parte del British Film Institute, vengono gentilmente omaggiati di un cosiddetto cartello disclaimer, praticamente un bolino rosso atto ad indicarne la non conformità ad un agognato, talvolta grottesco, politicamente corretto, oltre un secolo e mezzo orsono, nel 1864, Édouard Manet, artista rivoluzionario suo malgrado, nel senso che, pur non mancando di considerarne la meritevole modernità non è in realtà sua intenzione suscitare perplessità e riprovazione, dipinge quello che Stefano Zuffi, nel suo Grande atlante della pittura, definisce senza mezzi termini, e a ragion veduta, il quadro scandaloso per antonomasia.

Il più colto degli Impressionisti, notoriamente amante più dei musei che dell’aria aperta, legandosi al realismo letterario di Baudelaire e Zola, rivendica l’assoluta libertà artistica, tale da permettere all’autore di porsi al cospetto di qualsiasi soggetto, senza doversi obbligatoriamente confrontare con temi elevati e tradizionali, pur amando gli artisti comunque dediti e propensi verso tali soggetti. Ammira, tra gli altri, Velazquez e Tiziano, ed è in loro onore che il principale esponente della Scuola di Batignolles ricerca brillanti modalità esecutive in grado di esplicarsi attraverso suggestive mescolanze e brillanti effetti cromatici; a differenza di molti colleghi impressionisti, non fa mistero di amare il nero, colore, all’interno del movimento normalmente utilizzato con estrema parsimonia, che nel suo caso, al contrario, è a volte talmente incisivo da rivelarsi addirittura dominante, anche se rimane, comunque, opportuno precisare come, nel corso degli anni, la sua tavolozza viri decisamente verso tonalità più chiare e luminose.

Olympia: una prostituta ma ancor prima una donna, la cui immagine ritratta dall’artista francese non cela in alcun modo le proprie identità e occupazione.

Sfrontata e diretta, osserva lo spettatore dall’alto di un letto disfatto e completamente nuda, a parte alcuni monili, peraltro piuttosto eleganti, tra i quali un nastrino di velluto nero al collo, un bracciale curiosamente indossato nella parte alta dell’avambraccio ed un sandalo mollemente ciondolante atto a rimarcarne una sensuale indolenza, mostrando un atteggiamento consapevole lievemente ritoccato da un’espressione vagamente malinconica.

Come ricorda Giuseppe Nifosi per Arte Svelata, indipendentemente da indicazioni più o meno esplicite, l’interpretazione di Victorine Meurent, già protagonista del discusso Déjeuner sur l’herbe, dava effettivamente poco adito a dubbi, soprattutto tenendo conto di aspetto e posa della donna, facilmente ricollegabili ai popolari nudi pornografici dell’epoca, estremamente diffusi e protagonisti di un mercato, più o meno clandestino, di notevoli proporzioni.

Édouard Manet (1832-1883), Olympia, 1863, olio su tela, 130.5×190 cm., Parigi – Musée d’Orsay. Immagine: web

La stessa figura dell’inserviente di colore, avvalora l’esplicito meretricio, data l’assenza, presso le prostitute, di domestiche bianche, poco inclini a prestare i propri servigi a donne riconosciute di facili costumi.

Tra gatti neri lussuriosamente intesi, e l’insinuante denominazione Olympia, nome fortemente diffuso tra dette signorine di classe elevata – si chiama Olimpia anche la protagonista femminile de Il Marchese del Grillo, di Mario Monicelli, soprano nella ‘falsa’ opera La cintura di Venere, creata ad hoc dal maestro Nicola Piovani, anch’ella tacciata di sfacciataggine e spudoratezza da donne e castrati assistenti allo spettacolo – il dipinto venne sorprendentemente accettato ed esposto al Salon del 1865, pur relegato nella parte meno visibile della mostra al fine di evitare prevedibili polemiche e nonostante ciò decisamente denigrato dall’impietosa critica.

Giudizi mal sopportati da Manet, il quale non si faceva certo scrupolo di dover affrontare insulti e dinieghi e invece rimase molto colpito dalle feroci maldicenze.

Manet sarà omaggiato, qualche anno più tardi, dal collega Frédéric Bazille, il quale sovente rappresenterà domestiche di colore armeggianti con fiori, in particolare peonie, in discreta assonanza con la famigerata Olympia, mentre Victorine Meurent, pittrice oltre che modella, nel 2020, si ritroverà protagonista del romanzo Rosso Parigi, di Maureen Gibbon: la musa alla quale Manet insegnò ad amare l’arte, che a sua volta insegnò all’artista l’arte di amare…

 

 

 

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